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Occhio Mr Sassoli: il Ppe non lo molla, il Parlamento europeo

David Carretta

Il gruppo dei popolari è pronto a minacciare di far saltare la grande coalizione informale con socialisti e liberali, se l'attuale presidente (o un candidato di un altro gruppo) farà un colpo di mano

Bruxelles. Il presidente del gruppo del Partito popolare europeo, il tedesco Manfred Weber, ieri ha annunciato che non si candiderà alla presidenza del Parlamento europeo nella seconda metà della legislatura. Ma il ritiro dalla corsa del cristiano-democratico bavarese non spiana la strada a David Sassoli che, secondo diverse fonti, vuole tentare di essere confermato per un secondo mandato sullo scranno più alto della plenaria di Strasburgo. “La seconda metà della legislatura appartiene al Ppe”, ha detto Weber, chiedendo a socialisti e liberali di rispettare gli accordi del luglio del 2019 sulla ripartizione delle cariche ai vertici delle istituzioni dell’Ue. “Durante i negoziati politici tra i tre gruppi più grandi, il mandato di presidente del Parlamento era stato diviso tra Socialisti&Democratici e Ppe”, ha ricordato Weber: “Quell’accordo non è condizionato a un candidato specifico o circostanza”.

Il gruppo dei popolari è pronto a minacciare di far saltare la grande coalizione informale con socialisti e liberali, se Sassoli (o un candidato di un altro gruppo) farà un colpo di mano. “E’ una questione di fiducia”, spiega al Foglio una fonte del Ppe: “Se non rispetteranno l’accordo” sulla staffetta alla presidenza, “danneggeranno la capacità del Parlamento di andare avanti sui provvedimenti legislativi”. Nel momento in cui i deputati iniziano a discutere delle principali proposte della Commissione della legislatura, il Ppe potrebbe concentrare la sua rappresaglia sul pacchetto climatico “Fit for 55” rifiutandosi di fare compromessi con il centrosinistra quando gli interessi dell’industria sono in gioco.

Ufficialmente Sassoli non ha ancora preso una decisione su cosa fare in vista della fine del suo mandato da presidente del Parlamento europeo nel gennaio 2022. Contattato dal Foglio, un suo portavoce non ha voluto esprimersi. Ci sono ragioni tattiche e di opportunità che giustificano il silenzio. Ma, secondo diversi eurodeputati, non è un segreto che Sassoli ambisca alla conferma. Malgrado la tradizione di staffetta tra i due principali gruppi, c’è un precedente: il doppio mandato del socialdemocratico tedesco, Martin Schulz. La famiglia socialista si sente sottorappresentata nei vertici delle istituzioni dell’Ue. I popolari hanno la presidente della Commissione con Ursula von der Leyen. I liberali hanno il presidente del Consiglio europeo con Charles Michel. I socialisti hanno l’Alto rappresentante con Josep Borrell e la prima vicepresidenza della Commissione con Frans Timmermans (gli altri due sono la liberale Margrethe Vestager e il popolare Valdis Dombrovskis). Un altro liberale, Guy Verhofstadt, ha ottenuto un ruolo di primo piano nella Conferenza sul futuro dell’Europa. Ma puntare su una polarizzazione dell’elezione del prossimo presidente del Parlamento europeo sarebbe rischioso per Sassoli. Numericamente l’emiciclo è spaccato  a metà tra gruppi di centrosinistra e centrodestra. Il voto si giocherebbe su una manciata di deputati. Sassoli ha lanciato una serie di iniziative per rafforzare il ruolo del Parlamento europeo. Ma la sua gestione della crisi del Covid-19  non è piaciuta a tutti i deputati, molti dei quali si lamentano che la plenaria e le commissioni non sono ancora tornate alla normalità.

Il Ppe promette un candidato “costruttore di ponti”. I nomi che circolano sono quelli della maltese Roberta Metsola, dell’olandese Esther de Lange e dello spagnolo Gonzalez Pons. Per aprire la strada a una riconferma di Sassoli servirebbe un intervento dall’alto – cioè i capi di stato e di governo al Consiglio europeo – che liberi i gruppi dall’accordo sulle cariche del 2019. Ma l’uscita di scena di Angela Merkel e la probabile sconfitta della Cdu-Csu in Germania non giocano necessariamente a favore di Sassoli. Negli ultimi 16 anni bastava una parola della cancelliera per rimettere in riga la base del Ppe. Senza Merkel e umiliati nelle urne tedesche, i popolari potrebbero lanciarsi nel revanscismo. Weber, che intende assumere la presidenza del partito del Ppe oltre che quella del gruppo, ha un’altra arma: la minaccia di collaborare con il  gruppo della destra nazionalista e sovranista che potrebbe nascere dalla fusione dei Conservatori e riformatori  e di Identità e democrazia. Lo spauracchio è a doppio taglio: per il Ppe rompere la grande coalizione con socialisti e liberali significherebbe compromettere il lavoro della Commissione presieduta dalla popolare von der Leyen.