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Due aerei italiani sono partiti da Kabul con altri 200 afghani

Valerio Valentini

Il ponte aereo della Difesa, tra Kabul e Roma. Un nuovo decollo nel pomeriggio e uno in serata: prima 103, poi 97 afghani. Circa 300 persone verranno portate in salvo in Kuwait entro domattina. La centralità del generale Portolano. I dettagli. 

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L'aereo è decollato da Kabul quasi negli stessi minuti in cui l'altro, quello che lo aveva preceduto, stava atterrando a Fiumicino. E così, mentre a Roma sbarcavano 86 afghani, da Kabul ne partivano 103. Anche in questo caso, tutti collaboratori della nostra ambasciata e del nostro contingente militare, oltreché funzionari al servizio dell'Unione europea. Il C-130 decollato dalla pista di Kabul dovrebbe ora fare scalo in Kuwait, nella base di Ali Al Salem. Lì, attenderanno l'arrivo di un altro C-130, che è appena partito da Kabul con 97 persone a bordo. Un terzo volo, sempre con un centinaio di passeggeri, partirà nelle prossime ore per compiere la stessa tratta. All'alba di domani, salvo complicazioni, è destinato poi il trasferimento dei 300 passeggeri sul Boeing KC 767, che condurrà tutti a Roma in giornata.

 

Del resto, che una piccola svolta nella gestione del caos che aveva governato l'aeroporto di Kabul ci fosse stata, lo si è capito già nel tardo pomeriggio di martedì. E' stato in quel momento, dopo i disordini e gli incidenti dei giorni passati, dopo i dieci morti di lunedì, che la nostra Difesa ha potuto rendere operativo il ponte aereo tra la capitale afghana e Roma. E così 86 collaboratori afghani della nostra ambasciata sono saliti a bordo di un C-130 dell’Aeronautica militare decollato poche ore prima dalla base di Ali Al Salem, in Kuwait. Dopo uno scalo tecnico, sono stati di nuovo portati in Kuwait, e di lì trasferiti su un più capiente KC 767 che li ha condotti in Italia, con atterraggio a Fiumicino intorno alle 16.

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A essere stati salvati, dunque, sono una trentina di afghani collaboratori della nostra Difesa, altrettanti collaboratori dell’Unione europea e 8 contrattisti della nostra ambasciata. Insieme a loro, ci sono quattro ufficiali italiani e alcuni loro famigliari. Inoltre, l’aereo dell’Aeronautica ha preso a bordo anche cinque funzionari Nato, tra cui un francese e un americano, e un funzionario dell’ambasciata di Danimarca a Kabul. Soluzioni, queste, a cui nelle prossime ore si potrebbe ricorrere sempre più di frequente, se è vero che i nostri militari presenti a Kabul si sono visti offrire dai colleghi statunitensi la possibilità di far salire alcuni degli afghani che hanno lavorato con i nostri uffici diplomatici su dei velivoli dell’esercito americano.

 

“L’impegno è massimo da parte della Difesa per evacuare chi ha collaborato con l’Italia”, ribadisce Lorenzo Guerini, ministro della Difesa, dicendosi fiducioso dell’efficienza del nostro ponte aereo. La cui base principale è proprio quella di ali Al Salem: è li che sono che sono parcheggiati tre C-130 (un altro è invece fermo a Islamabad, in Pakistan, in attesa di nuove disposizioni): aerei rapidi e maneggevoli, con una capienza che non supera però i 100 posti. Sono questi i velivoli deputati a raggiungere l’aeroporto di Kabul per prelevare i collaboratori afghani da salvare dalla furia talebana: una volta caricati, vengono portati di nuovo in Kuwait, e di lì trasferiti sul Boeing KC 767, più capiente e adatto alle lunghe tratte, destinato a raggiungere Fiumicino. Il tutto, sotto la supervisione del generale Luciano Portolano, sessantenne agrigentino alla guida del Comando operativo interforze: uno che con gli americani, anche in virtù delle sue numerose partecipazioni con ruoli di vertice alle missioni Nato (dall’Iraq ai Balcani, passando per l’Afghanistan e il Libano), ha contatti e consuetudini non comuni.

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