un horror internazionale a puntate

Collasso afghano, episodio cinque

Daniele Raineri

Cade nelle mani dei guerriglieri il primo capoluogo di provincia, è un valico al confine con l'Iran. Le altre città resisteranno molto di più, sarà una lunga guerra (e quelli nella foto sono talebani) 

Prologo. Nel 2001 il gruppo terroristico al Qaida attacca Manhattan e il Pentagono e uccide migliaia di persone. Al Qaida è ospite dei fanatici talebani in Afghanistan. Gli americani intervengono, disperdono i talebani e minacciano in privato il loro sponsor, il confinante Pakistan: “Se non cooperate, vi facciamo tornare all’età della pietra a suon di bombe”. Talebani e al Qaida non spariscono. La  strategia è aspettare e combattere una guerriglia di logoramento, prima o poi i governi occidentali si stancheranno dell’Afghanistan. “Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”, dicono. I servizi del Pakistan aiutano sottobanco. Passano vent’anni. Prima il presidente repubblicano Trump e poi il democratico Biden ordinano il ritiro e annunciano che i talebani faranno la pace con il governo afghano. Ma non c’è nessuna pace. Nelle città, le donne temono il ritorno dei fanatici. 

  


La prima puntata di Collasso afghano la trovate qui.

Qui invece la seconda. 

Qui la terza.

E qui la quarta.


    

Ieri i talebani hanno conquistato senza sparare un colpo Zaranj, il primo capoluogo di provincia afghano a cadere sotto il loro controllo. Non è una grande città come la capitale Kabul oppure Herat e Kandahar, ha circa cinquantamila abitanti ed è nella provincia periferica di Nimruz, ma è un valico importante al confine con l’Iran. Adesso i guerriglieri controllano quattro dei sei valichi di frontiera afghani e incassano i pedaggi al posto del governo. Ieri hanno pubblicato video di festeggiamenti dentro al palazzo del governatore di Zaranj, dentro alla base militare della città, dentro all’aeroporto e nelle strade. Hanno anche liberato i prigionieri dalla prigione locale e molti sono talebani che ritorneranno a combattere. Alcuni abitanti hanno saccheggiato quanto più metallo potevano nelle prime ore della caduta per rivenderlo, i talebani li hanno lasciati fare.

  

È interessante che la capitolazione sia arrivata senza una battaglia, mentre altrove, come a Lashkar Gah e a Herat, si combatte con violenza. I rinforzi mandati dal governo centrale non possono arrivare dappertutto e le forze assediate dai talebani a Zaranj hanno calcolato che non aveva più senso opporsi all’inevitabile. Ragionamenti simili saranno fatti in altre province e in altre città. Questo non vuol dire affatto che l’Afghanistan stia per cadere di nuovo sotto i talebani.

    

In molte regioni si organizzano milizie per aiutare l’esercito contro i fanatici e ci sono paesi come l’India determinati ad appoggiare il governo di Kabul contro i guerriglieri. Anche i jet americani continuano a bombardare i talebani per tenerli fuori dalle grandi città ma il mandato della loro missione scade lunedì 31 agosto – sarebbe un brutto spettacolo se i guerriglieri riuscissero a fare conquiste notevoli prima di quella data. Vuol dire però che ci sarà una lunga guerra civile tra guerriglieri che credono nella vittoria finale e il resto del paese terrorizzato dal finire sotto di loro dopo il ritiro dei contingenti militari occidentali. Il Pentagono su Twitter continua a usare l’hashtag #responsibleexit, ritiro responsabile, per gli annunci mentre in Afghanistan la guerra civile non era mai stata così violenta. Secondo le Nazioni Unite, il 2021 non ancora finito potrebbe essere l’anno peggiore di sempre per i civili.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)