La Guida suprema iraniana Ali Khamenei (Ansa) 

Editoriali

Gli iraniani hanno sete

Redazione

In Iran sono scoppiate delle rivolte per l’acqua, e la repressione è brutale

In Iran manca anche l’acqua e due giorni fa le “proteste degli assetati”, cominciate a sud-ovest, sono arrivate fino alla capitale. La Guida suprema Ali Khamenei e il presidente (ancora per un mese) Hassan Rohani pubblicamente sostengono che i manifestanti “vanno rispettati”. Ma è solo propaganda per chi abita lontano dalla provincia del Khuzestan, dove tutto è cominciato. Lì i video girati durante i cortei raccontano una repressione brutale: oltre ai lacrimogeni e ai manganelli la polizia spara ad altezza d’uomo con proiettili veri, e ci sono già stati almeno otto morti. I post accompagnati dagli hashtag #KhuzestanThirsy si susseguono su Twitter, ed è allora che il nervosismo del regime, come al solito, impone il rallentamento di internet da telefono in tutto il paese. Una forma di repressione che, questa volta, non è servita a molto.

 

Le proteste in solidarietà ai cittadini di quella regione sono sbarcate a Teheran. Le persone hanno bloccato le strade e tra gli slogan che hanno gridato ce n’è uno che non si sentiva dalle rivolte del pane nel 2019 e da quelle seguite all’abbattimento per errore di un aereo di linea pieno di civili iraniani all’inizio del 2020: “Morte a Khamenei!”. Quello che oggi fa infuriare gli iraniani è la mancanza di acqua potabile in alcune aree del paese. Soprattutto a ridosso del confine sudoccidentale, dove i venti del deserto che arrivano dall’Iraq hanno reso arida una terra un tempo fertile e dove quest’anno c’è stata la peggiore siccità dell’ultima metà di secolo. Ma il problema è anche e soprattutto la gestione tutta sbagliata delle risorse idriche portata avanti dai vertici della Repubblica islamica. Le dighe sono decuplicate in nemmeno quarant’anni, una follia in un paese arido perché l’acqua evapora soprattutto quando resta ferma nei serbatoi. Hanno anche deviato il corso dei fiumi penalizzando proprio la regione già più a rischio, quel Khuzestan dove si estrae l’80 per cento del petrolio iraniano, abitato dalla minoranza araba che il regime non ha per niente a cuore e che adesso rischia di morire di sete.

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