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editoriali

Ci vorrebbe un D20

Redazione

Nessun declino per il G7, ora è il tempo di ripensare il G20. Una proposta

Nell’ultimo decennio l’opinione corrente è stata che il G7 avesse perso tutta la sua ragione d’essere. La crisi finanziaria del 2008, l’ascesa della Cina, lo sviluppo degli altri Brics e infine Donald Trump avevano reso inutile questa istituzione nata negli anni Settanta per riunire quelle che all’epoca erano le sette più grandi economie del pianeta. “Meglio il G20 del G7” perché – si è detto in questi anni – è un club più inclusivo e le sfide globali possono essere affrontate solo a livello globale. Ma è bastato il ritorno di un presidente atlantista negli Stati Uniti, Joe Biden, per smentire la narrazione del declino del G7. Il summit che si è chiuso domenica in Cornovaglia ha restituito a questo club ristretto tutta la sua importanza. Il merito fondamentalmente va alla Cina che, sotto la presidenza di Xi Jinping, si è trasformata da potenziale partner in minaccia reale. Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Canada e Giappone, nonostante alcune divergenze, hanno ritrovato una missione comune: contenere le politiche predatorie e coercitive della Cina.

L’èra Xi ha dimostrato che il G20 non può funzionare se uno dei principali attori non rispetta l’ordine basato sulle regole. La sua Cina predica il multilateralismo, ma pratica l’unilateralismo. Opacità durante la pandemia, dazi contro l’Australia, minacce alla libertà di navigazione, Wolf worrior, cyberattacchi, costruzione di migliaia di centrali a carbone dopo l’impegno a ridurre le emissioni: gli atti della Cina sono incompatibili con lo spirito di cooperazione tra grandi. Cancellare il G20 sarebbe sbagliato. Ma, oltre al G7, occorre un club capace di fare da calamita geopolitica alternativa alla Cina. In Cornovaglia sono stati invitati i leader di Australia, Corea del sud, India e Sudafrica. Può essere l’embrione di un D20, dove “D” sta per democrazia.

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