Quanto sono litigiosi i Verdi tedeschi

Micol Flammini

Capricci e puntiglio al Congresso che durerà per tutto il fine settimana e in cui i delegati dovranno approvare il manifesto elettorale. Erano stati presentanti 3.200 emendamenti, e in tanti vogliono spiegazioni da Annalena Baerbock sul crollo nei sondaggi

Si è aperto ieri il Congresso dei Verdi tedeschi, che si tiene online e durerà tutto il fine settimana. Ma l’insolita calma che dal 2018 domina il partito sembra sul punto di incrinarsi, e, dicono gli osservatori, non c’è segno di normalità più grande. I Grünen infatti non sono mai stati un partito dai toni pacati, lo sono diventati sotto la guida di Annalena Baerbock e di Robert Habeck, la coppia affiatatissima che li ha fatti crescere negli ultimi anni. Prima, ai congressi dei Verdi ci si accapigliava, si urlava, Joschka Fischer finì tutto ricoperto di vernice quando, da ministro degli Esteri, sollecitò un coinvolgimenti tedesco nel conflitto in Kosovo.

 

 

I nuovi malumori  nel partito sono arrivati dopo gli entusiasmi, dopo aver annunciato la candidatura di Annalena Baerbock  alla cancelleria, il partito era arrivato quasi al 30 per cento, in alcuni momenti aveva anche superato la Cdu. Baerbock aveva il gradimento più alto fra tutti i candidati. Ma da un paio di settimane, la corsa verde si è interrotta, e gli ultimi sondaggi danno i Grünen  almeno otto punti dietro alla Cdu e Baerbock è stata superata anche da Armin Laschet, balzato, inaspettatamente, al primo posto dopo la vittoria in Sassonia-Anhalt. Al congresso le chiederanno conto dello scarso risultato nel Land orientale, dove il partito, che non si aspettava di vincere, sperava però di racimolare un po’ di più rispetto al 5,9 per cento ottenuto. Alcuni giornalisti poi hanno tirato fuori alcune incongruenze nel curriculum della leader, e anche un piccolo guaio con le tasse, che lei dice di aver già risolto. E’ pronta a spiegarsi, dice che non ha nulla da nascondere, e comunque, la sua candidatura non è a rischio. E’ la rappresentante di un partito puntiglioso, anzi che ha al suo interno tante anime puntigliose e l’importante, durante il congresso, sarà tenere a bada e frenare l’ala più radicale. L’obiettivo principale degli incontri è l’approvazione del programma elettorale, il manifesto chiamato “Germania, tutto è possibile”. I delegati hanno presentato 3.200 emendamenti, alcuni sono stati risolti prima dell’inizio del congresso, ma le divergenze rimangono. Un emendamento chiede addirittura di togliere la parola “Germania” dallo slogan del manifesto, un altro  propone di abbassare il limite di velocità sulle autostrade a 100 chilometri orari. Ma il dibattito sarà soprattutto sulle proposte climatiche. I Verdi chiedono una riduzione dei gas serra del 70 per cento entro il 2030, l’ala più radicale vuole arrivare all’85. Ma Baerbock è diretta verso il centro, per questo vuole ammorbidire le richieste del manifesto.

 

I Verdi tedeschi sono cresciuti dall’8,9 del 2017 a oltre il venti e oggi sognano la cancelleria. Serve un programma che sia in grado di raccogliere consensi in modo vasto e di tracciare una strada che renda possibile mantenere le promesse elettorali. E quando si ha a che fare con le politiche ambientaliste il compromesso tra fattibilità e promesse è sempre più complicato da trovare. 


Questa settimana in Germania sono partiti i lavori di un’assemblea con 160 cittadini, la Bürgerrat Klima, che dovrà fare delle proposte climatiche al governo. Anche Emmanuel Macron in Francia con entusiasmo aveva dato il via alle proposte cittadine, un esperimento di democrazia dal basso iniziato per accattivarsi il voto verde, ma finito molto male: le proposte erano molto strampalate e probabilmente il presidente per le elezioni del prossimo anno non avrà ottenuto il suo obiettivo. La Germania prova la stessa strada, ovviamente le proposte che usciranno dall’assemblea saranno fatte al governo e non ai verdi, ma Baerbock ha individuato una strada importante e che va in senso opposto: se l’ambientalismo deve diventare politica allora le decisioni vanno prese dall’alto, non dal basso. Dovrà farlo capire al congresso, tra un litigio e l’altro. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.