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tre ragioni

Perché Biden sostiene le trivellazioni in Alaska

Luciana Grosso

E' sembrata una scelta trumpiana, ma il presidente democratico ha dei motivi economici, politici e anche ambientali per mandare avanti il progetto Willow 

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La decisione di Joe Biden, il presidente più verde che gli Stati Uniti abbiano mai avuto, di sostenere un enorme progetto di trivellazione in Alaska potrebbe essere riassunta così: green sì, ma con judicio. E soprattutto non solo.

 

Nel 2017 la ConocoPhillips (la più grande azienda petrolifera dell’Alaska)  ha chiesto autorizzazione a trivellare nella National Petroleum Reserve, un’area ricca di idrocarburi nel nord dell’Alaska. Nel 2020, l'Amministrazione Trump ha dato il via libera al progetto, chiamato ‘Willow’; nel febbraio 2021 però, una Corte d’appello federale ha accolto il ricorso di alcuni gruppi ambientalisti che sostengono che il progetto non tiene conto delle pesantissime conseguenze ambientali che innescherebbe (circa 260 milioni di tonnellate di anidride carbonica in 30 anni) e ha bloccato tutto. In teoria sarebbe finita così, con gli ambientalisti in pieno momentum e le trivelle ancora da montare. In pratica però no. Perché lo stato dell’Alaska ha chiesto un parere al governo centrale che ha risposto con un documento nel quale si afferma che l’autorizzazione data da Trump è "ragionevole e coerente" e che il progetto dovrebbe essere autorizzato. 

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La presa di posizione dell'amministrazione Biden ha sciupato la luna di miele tra il presidente e l’ala più a sinistra della sua coalizione che, proprio ora, stava iniziando a fidarsi di lui. Le numerose critiche che gli sono piovute addosso dai gruppi ambientalisti e di sinistra, sembrano non essere state sufficienti per bloccare il progetto. Eppure, sarebbe stato facile: oggi niente è popolare come ostacolare le compagnie petrolifere e, per di più, Biden si è impegnato (da candidato prima e da presidente poi) a dimezzare le emissioni degli Stati Uniti entro il 2030 e a sostituire i combustibili fossili con le energie rinnovabili. Dunque perché non fermare l’enorme progetto Willow da cinque pozzi e 100 mila barili al giorno?

 

La ragione politica ha a che fare con l’aritmetica: a Biden l’Alaska serve. O meglio, più che lo stato in sé, gli servono i suoi due senatori (Lisa Murkowski e  Dan Sullivan) che possono fare da ago della bilancia e dare man forte al presidente la cui maggioranza al Senato è appesa a un voto. La ragione economica e sociale ha a che fare con il modo in cui è fatta l’Alaska: uno stato bellissimo, ricco di natura trionfante. Ma nel quale non c’è lavoro. E il lavoro non c’è perché lo stato è ricoperto da foreste e ghiacci. Così, in un posto in cui o fai il guardaboschi, o fai il pescatore, o c’è poco altro che tu possa fare, il pezzo di economia legato al petrolio è vitale per le persone. Su 700mila abitanti, circa 21 mila lavorano nell’industria petrolifera. E, per giunta, Willow potrebbe portare, da subito, altri mille posti di lavoro. E dunque, con tutto il bene che gli alaskani vogliono alla loro terra, pensano che sfregiarla per tirarne fuori il petrolio e trasformarlo in gas serra, sia un prezzo accettabile per la loro sopravvivenza, tanto che George Edwardson, presidente della Inupiat Community of the Arctic Slope, ha definito la trivellazione petrolifera "fondamentale per la sopravvivenza economica delle persone che chiamano questa regione casa".

 

La ragione ambientale invece, è paradossale e dolorosa e ha a che fare con la realtà per come è e non per come la vorremmo. Biden ha promesso di ridurre i gas serra americani e del mondo e in questo senso si è mosso; il presidente ha promesso di guidare e promuovere la rivoluzione green, e così ha fatto; ha giurato che non avrebbe autorizzato nuovi campi petroliferi, e infatti non ne ha autorizzati, visto che questo c’era già. Ma non ha mai promesso di chiudere con il petrolio. Non ha mai promesso di  riuscire a inventarsi, in sei mesi, qualcosa che renda obsoleta e superflua la principale fonte di energia e di reddito del suo paese. E questo perché, per quanto paradossale possa sembrare, per continuare a limitare l’uso del petrolio, Biden (come chiunque nel mondo) ha bisogno che il settore proceda e prosperi, perché una sua chiusura provocherebbe un tale terremoto economico e sociale da innescare la fine definitiva di qualunque tentativo di decarbonizzazione. Il mondo e l’America che Joe Biden deve guidare sono quelli del 2021, non quelli del 2050. E per arrivare, a un 2050 più pulito, occorre che la rivoluzione green non si trasformi in un’ecatombe di disoccupazione e povertà. Biden aveva promesso di lavorare per un mondo più verde, non per un mondo ‘al verde’. 

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