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Nikol Pashinyan, il premier armeno al centro delle due proteste

Il primo ministro ha ancora chi lo sostiene, ma chi si oppone si sente tradito due volte: per la rivoluzione mancata e soprattutto per la resa nel Nagorno-Karabakh

Micol Flammini

Il leader della rivoluzione di velluto ha denunciato il tentativo di colpo di stato da parte dei militari, che hanno chiesto le sue dimissioni. Ha chiesto ai sostenitori di scendere in piazza, dove le due anime della nazione si sono guardate negli occhi

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Da una parte i suoi sostenitori, dall’altra l’opposizione. Per Nikol Pashinyan, primo ministro dell’Armenia, la giornata è iniziata con la denuncia di un tentativo di colpo di stato ed è terminata con lo sforzo di riportare la calma per le strade di Erevan. Con un comunicato, le alte cariche dell’esercito hanno chiesto le dimissioni del primo ministro: “Il premier e il suo governo non sono più in grado di prendere le giuste decisioni per il popolo armeno”. Pashinyan ha risposto licenziando il capo di stato maggiore Onik Gasparian, ha invitato i suoi sostenitori a scendere in piazza contro “il colpo di stato”, e in piazza è arrivato anche lui con il megafono in mano a giurare che non se ne andrà per una richiesta dell’esercito, ma per la volontà dei suoi cittadini.

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Da una parte i suoi sostenitori, dall’altra l’opposizione. Per Nikol Pashinyan, primo ministro dell’Armenia, la giornata è iniziata con la denuncia di un tentativo di colpo di stato ed è terminata con lo sforzo di riportare la calma per le strade di Erevan. Con un comunicato, le alte cariche dell’esercito hanno chiesto le dimissioni del primo ministro: “Il premier e il suo governo non sono più in grado di prendere le giuste decisioni per il popolo armeno”. Pashinyan ha risposto licenziando il capo di stato maggiore Onik Gasparian, ha invitato i suoi sostenitori a scendere in piazza contro “il colpo di stato”, e in piazza è arrivato anche lui con il megafono in mano a giurare che non se ne andrà per una richiesta dell’esercito, ma per la volontà dei suoi cittadini.

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La parola dimissioni in Armenia viene ripetuta sempre più spesso, a Pashinyan i suoi cittadini imputano la resa nel Nagorno-Karabakh, la guerra terminata con un accordo, tre vincitori – Azerbaigian, Turchia e Russia – e uno sconfitto: Erevan. La colpa del premier è quella di aver trascinato la nazione in un conflitto in cui erano poche le speranze di vincere, di aver nascosto per troppo tempo le reali condizioni dell’esercito armeno, meno equipaggiato, senza aiuti e che subiva più perdite rispetto agli avversari azeri. E soprattutto di aver mandato a combattere una generazione giovanissima, che dopo sei mesi di scontri non è tornata più indietro. C’è chi dice che Pashinyan non sapesse, che dopotutto a combattere c’era anche sua moglie, che tutto era stato fatto con le migliori intenzioni. I suoi sostenitori ieri erano per le strade della capitale e gridavano “Nikol è il nostro premier”, più forte, per superare le grida degli altri, dell’opposizione: “Nikol traditore”. 

 

Chi chiede le dimissioni si sente tradito due volte. Per la resa nel Nagorno, ma anche per tutto quello che Pashinyan rappresentava per gli armeni. Il premier era arrivato con una rivoluzione pacifica, era riuscito a costringere alle dimissioni Serzh Sarksyan, leader del Partito repubblicano che ha governato la nazione per vent’anni. Pashinyan rappresentava  la vivacità di una nazione che vuole preservare la sua democrazia, giovanissima. Era il 2018, aria di rivoluzione, ma oggi il primo ministro si ritrova contro tanti che lo hanno sostenuto tre anni fa. Si aggrappa ai suoi sostenitori che non sono pochi, ad ascoltarlo in piazza oggi c’erano ventimila persone, ma il suo mito si è ormai perso, oscurato dalle ferite del Nagorno-Karabakh. 


“Abbiamo già versato abbastanza sangue”, ha detto oggi Pashinyan rimproverando i militari che dovrebbero proteggere la nazione e non intromettersi nelle faccende politiche. La Russia ha chiesto di trovare una soluzione pacifica, guarda con attenzione al Caucaso irrequieto di questi ultimi mesi, e il presidente Vladimir Putin si è affrettato a chiamare il premier. 

 

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In questo momento ci sono due Armenie che si guardano negli occhi. Una ha già smesso di credere nell’eroe della rivoluzione di velluto, si è accampata davanti al Parlamento, chiede nuove elezioni, prende le maglie con il volto di Pashinyan, le stesse indossate tre anni fa e le getta a terra, le straccia, ci cammina sopra. L’altra crede che non tutto sia perduto, c’è parte di quella rivoluzione che si può ancora recuperare, e il Nagorno fa male a tutti gli armeni: Pashinyan è stato tradito, come gli altri. 

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