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L’autonomia strategica dell’Ue è un’idea molto acciaccata

Jean-Pierre Darnis

L’arrivo di Biden impone agli europei una nuova definizione del concetto: meno difesa e più tecnologia

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Venerdì scorso, nell’ambito della conferenza sulla sicurezza di Monaco, mentre Joe Biden dichiarava il ritorno dell’America e la volontà di rilanciare la relazione transatlantica, Emmanuel Macron ribadiva la validità del progetto di “autonomia strategica europea”. L’autonomia strategica è un concetto ricorrente nel dibattito politico europeo degli ultimi anni che si è poi affermato nel 2020. Ha conosciuto una particolare fortuna sotto la spinta di due fattori: l’isolazionismo degli Stati Uniti sotto la presidenza Trump e le conseguenze politiche della pandemia che hanno condotto l’Ue a formulare esigenze di sovranità nel contesto internazionale. L’autonomia strategica nasce come la traslazione nel contesto europeo di un concetto francese, poi coadiuvato dall’appoggio della Germania. Per la Francia l’autonomia strategica riprende una tradizionale visione nazionale legata alla dissuasione nucleare. Dal libro bianco del 1994 in poi, il concetto strategico francese ha poi allargato il perimetro del suo “circolo vitale” protetto dalle armi nucleari ai vicini dell’Ue, e abbiamo anche visto Emmanuel Macron nel 2020 dichiarare la disponibilità a discutere della dissuasione nucleare con i partner europei. Un tentativo che ha provocato qualche educata reazione in Germania ma che poi non ha avuto alcun esito.

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Venerdì scorso, nell’ambito della conferenza sulla sicurezza di Monaco, mentre Joe Biden dichiarava il ritorno dell’America e la volontà di rilanciare la relazione transatlantica, Emmanuel Macron ribadiva la validità del progetto di “autonomia strategica europea”. L’autonomia strategica è un concetto ricorrente nel dibattito politico europeo degli ultimi anni che si è poi affermato nel 2020. Ha conosciuto una particolare fortuna sotto la spinta di due fattori: l’isolazionismo degli Stati Uniti sotto la presidenza Trump e le conseguenze politiche della pandemia che hanno condotto l’Ue a formulare esigenze di sovranità nel contesto internazionale. L’autonomia strategica nasce come la traslazione nel contesto europeo di un concetto francese, poi coadiuvato dall’appoggio della Germania. Per la Francia l’autonomia strategica riprende una tradizionale visione nazionale legata alla dissuasione nucleare. Dal libro bianco del 1994 in poi, il concetto strategico francese ha poi allargato il perimetro del suo “circolo vitale” protetto dalle armi nucleari ai vicini dell’Ue, e abbiamo anche visto Emmanuel Macron nel 2020 dichiarare la disponibilità a discutere della dissuasione nucleare con i partner europei. Un tentativo che ha provocato qualche educata reazione in Germania ma che poi non ha avuto alcun esito.

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Come ai tempi dell' “Europa-potenza” di Jacques Chirac nel 1996, la Francia applica all’Europa uno schema di riflessione strategica nazionale, non rendendosi pienamente conto dell’impossibilità della trasposizione. Nell’Ue la decisione di uso della forza militare rimane strettamente legata alle sovranità espresse dalle democrazie. L’approccio funzionalista europeo funziona male di fronte alle divergenze fra paesi in materia di interventi militare, con una Francia che spesso ha una posizione interventista mentre molti altri stati membri sono cauti. Abbiamo poi visto crescere l’altro paradigma dell’autonomia strategica, quello tedesco, che insiste essenzialmente sulla difesa delle capacità industriali e tecnologiche. La Germania, dal caso Snowden nel 2013, è diffidente nei confronti degli Stati Uniti e attenta al mantenimento della sovranità nell’ambito digitale e tecnologico, come illustrato dal progetto di Cloud Gaia X. Però la visione tedesca non sposa il perimetro globale di quella francese. Le divergenze si sono viste bene a novembre scorso, con il battibecco tra Annegret Kramp-Karrenbauer e Emmanuel Macron. quando il ministro della Difesa tedesco ha criticato l’uso dell’autonomia strategica come spinta per una difesa europea in rottura con la Nato.

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Su questo ultimo punto, l’elezione di Joe Biden ha certamente contributo a ricreare un consenso in Europa per un mantenimento delle capacità di difesa all’interno della Nato, sotterrando le velleità di autonomia. La posizione italiana appare sotto molti aspetti come paragonabile a quella tedesca. Che cosa rimane quindi dell’autonomia strategica europea dopo l’elezione di Biden? Esiste un largo consenso sulla necessità di accrescere le capacità strategiche dell’Ue in materia tecnologica e industriale, una consapevolezza che la sovranità non può essere esercitata senza padroneggiare sia i dati sia le tecnologie, e che il dominio tecnologico statunitense o cinese potrebbe portare l’Unione a una posizione ancillare e marginale. La commissione europea sta accelerando con un’agenda di investimenti su tecnologie chiave e constatiamo una mobilitazione dei vari attori europei in materia, anche per ridurre quello che Le Maire e Altmaier hanno recentemente qualificato come “dipendenze strategiche”.

 

La commissione europea si è anche distinta negli ultimi anni per l’incisività delle sue decisioni nel comparto digitale. E di questo quindi che parliamo quando si invoca “l’autonomia strategica europea”? Se cosi fosse, varrebbe però la pena mettere da parte un concetto troppo problematico nella sua dimensione difesa, per concentrarsi sulle politiche di sovranità tecnologica e industriale. Lo sviluppo della sovranità tecnologica europea può accompagnare la necessaria proiezione della democrazia europea nel mondo digitale e tecnologico, sia dal punto di vista della protezione dei cittadini che dei rapporti con altri attori internazionali. Si tratta di una visione in grado di conciliare sia gli aspetti di protezione resi impellenti dal Covid, sia la volontà di proiettare un’identità positiva a livello mondiale, una dimensione che va dritta al cuore del progetto europeo.

 

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