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In morte di un diplomatico italiano

Daniele Ranieri

Rapitori uccidono l’ambasciatore Luca Attanasio nella Repubblica democratica del Congo e il carabiniere Vittorio Iacovacci. L’ errore incredibile sulla sicurezza e i sospetti sui massacratori etnici

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Questa mattina, alle dieci locali, alcuni uomini armati hanno ucciso l’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo, Luca Attanasio, e il carabiniere che gli faceva da scorta, Vittorio Iacovacci. Secondo il governo del Congo è stato un tentativo di sequestro: un gruppo di sei rapitori ha prima ucciso l’autista della jeep della Nazioni Unite sulla quale stavano viaggiando, Moustapha Milambo, poi ha portato via i due italiani e altre tre persone sulla strada tra Goma e Rutshuru, nella regione del Nord Kivu. Le immagini della jeep sono compatibili con questa versione: ha un finestrino laterale sfondato, ma non ci sono altri segni di combattimento. A quel punto, a poca distanza, c’è stato uno scontro a fuoco con i ranger del Parco nazionale del Virunga che sono arrivati dopo avere sentito gli spari contro l’autista e i due italiani sarebbero stati feriti in quel momento. Sono morti poco dopo. 

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Questa mattina, alle dieci locali, alcuni uomini armati hanno ucciso l’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo, Luca Attanasio, e il carabiniere che gli faceva da scorta, Vittorio Iacovacci. Secondo il governo del Congo è stato un tentativo di sequestro: un gruppo di sei rapitori ha prima ucciso l’autista della jeep della Nazioni Unite sulla quale stavano viaggiando, Moustapha Milambo, poi ha portato via i due italiani e altre tre persone sulla strada tra Goma e Rutshuru, nella regione del Nord Kivu. Le immagini della jeep sono compatibili con questa versione: ha un finestrino laterale sfondato, ma non ci sono altri segni di combattimento. A quel punto, a poca distanza, c’è stato uno scontro a fuoco con i ranger del Parco nazionale del Virunga che sono arrivati dopo avere sentito gli spari contro l’autista e i due italiani sarebbero stati feriti in quel momento. Sono morti poco dopo. 

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Le misure a protezione dell’ambasciatore erano insufficienti perché le condizioni di sicurezza in quella zona del Congo sono un disastro. Il confine orientale è infestato da un assortimento di milizie armate e molte di esse potrebbero sfidare senza problemi anche un convoglio di veicoli blindati della missione Monusco, il contingente di quindicimila soldati delle Nazioni Unite che tenta di riportare la stabilità in quel territorio. Il Kivu Security Tracker, un progetto che monitora le attività di guerriglieri e terroristi in quella fascia, proprio oggi ha pubblicato un rapporto che conferma la presenza di 122 gruppi armati. Le truppe della Repubblica democratica del Congo hanno smesso di operare in quella regione e hanno delegato la sicurezza ai ranger del parco e ai soldati stranieri di Monusco. Nel 2017 però la missione delle Nazioni Unite è stata ridotta per un taglio di fondi e cinque basi militari proprio nel Nord Kivu, che assicuravano un minimo di presenza, sono state chiuse e abbandonate per rientrare nei costi. I soldati della missione internazionale hanno cambiato strategia e hanno adottato la cosiddetta “protection by projection”, vale a dire: non stiamo lì fissi, ma anche senza una presenza stabile ci impegniamo a passare spesso da quelle parti per garantire un minimo di controllo. Le condizioni sono però peggiorate e nel 2018 i guerriglieri hanno assaltato una base Monusco nel Nord Kivu e hanno ucciso diciotto soldati delle Nazioni Unite. Un paio di jeep non blindate con i colori della missione Onu non erano sufficienti a garantire la protezione dell’ambasciatore durante lo spostamento, anche se la strada era classificata “sicura”. La classificazione era sbagliata. 

 

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Carly Nzanzu Kasivita, il governatore del Nord Kivu, dice in un’intervista telefonica al New York Times che gli aggressori parlavano kinyarwanda, che è un linguaggio parlato in Rwanda – appena oltre il confine, molto vicino al luogo del rapimento – e che in quella zona operano spesso i guerriglieri delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda “anche se – aggiunge – sono necessarie altre indagini”. Quella fazione, che conta circa settemila uomini (fonte: una ricerca sul campo dell’International Crisis Group), è quel che resta delle milizie ruandesi che nel 1994 uccisero ottocentomila civili di etnia tutsi e poi cercarono salvezza fuori dal paese. Sono fanatici e suprematisti etnici e alcuni reparti nel corso degli anni si sono spezzettati in una miriade di gruppi minuscoli da cinque, sei uomini che sopravvivono grazie a un ciclo incessante di sequestri. Un rapporto dell’anno scorso di Human Right Watch ha contato almeno 170 rapiti “tra aprile 2017 e marzo 2020”, in quella zona vicino al parco del Virunga, tutti compiuti da gruppi di “cinque, sei uomini” che spesso secondo i sopravvissuti parlano kinyarwanda, sono armati di machete e fucili e hanno metodi incredibilmente brutali. I testimoni dicono anche che i diversi gruppi di rapitori sono collegati, gli uomini si conoscono tutti e si chiamano con soprannomi. Sembra l’identikit della fazione che ha ucciso Attanasio e Iacovacci. C’è anche l’ipotesi Stato islamico, che dispone di affiliati nel Congo — però non sono mai arrivati a meno di centocinquanta chilometri (quindi: un viaggio molto lungo) dal luogo dell’attacco. 
 

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