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L'intervista

Verso un atlantismo nuovo

Cosa vuol dire autonomia strategica per Parigi e Berlino, i guai di famiglia e la necessità di superare i test

Micol Flammini

L'America è tornata, ma Germania e Francia fanno qualche passo indietro, pur riconfermando i valori comuni dell'Alleanza atlantica. Stephens, veterano del Ft, ci racconta il peso della riluttanza tedesca all’abbraccio di Biden

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Roma. Ieri sul palco della conferenza di Monaco si sono incontrate tre idee di atlantismo. Quella del presidente americano Joe Biden, lì per dire che l’America è tornata ma che ha bisogno di rassicurazioni da parte dell’Ue. Quella di Emmanuel Macron, fatta di collaborazione sì, ma anche di ricostruzione e riforme. Sono finiti i tempi trumpiani e che la Nato è “cerebralmente  morta” ora va detto con toni più garbati.  L’altra visione è quella di Angela Merkel, la cancelliera uscente, che ha guidato la Germania per quindici anni, ed è stata  la prima a rendersi conto, nel 2016, che con Donald Trump alla Casa Bianca i rapporti con gli Stati Uniti sarebbero cambiati. “Sappiamo che non andremo d’accordo su tutto”, ha detto ieri a Biden sottolineando però che i valori comuni rimangono. Ha detto di essere pronta a un nuovo capitolo delle relazioni transatlantiche, ma  la cancelliera è  pragmatica e del pragmatismo ha fatto anche una delle note portanti della politica del suo governo “soprattutto negli ultimi anni”, dice al Foglio Philip Stephens, storico commentatore del Financial Times. 

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Roma. Ieri sul palco della conferenza di Monaco si sono incontrate tre idee di atlantismo. Quella del presidente americano Joe Biden, lì per dire che l’America è tornata ma che ha bisogno di rassicurazioni da parte dell’Ue. Quella di Emmanuel Macron, fatta di collaborazione sì, ma anche di ricostruzione e riforme. Sono finiti i tempi trumpiani e che la Nato è “cerebralmente  morta” ora va detto con toni più garbati.  L’altra visione è quella di Angela Merkel, la cancelliera uscente, che ha guidato la Germania per quindici anni, ed è stata  la prima a rendersi conto, nel 2016, che con Donald Trump alla Casa Bianca i rapporti con gli Stati Uniti sarebbero cambiati. “Sappiamo che non andremo d’accordo su tutto”, ha detto ieri a Biden sottolineando però che i valori comuni rimangono. Ha detto di essere pronta a un nuovo capitolo delle relazioni transatlantiche, ma  la cancelliera è  pragmatica e del pragmatismo ha fatto anche una delle note portanti della politica del suo governo “soprattutto negli ultimi anni”, dice al Foglio Philip Stephens, storico commentatore del Financial Times. 

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L’interesse economico è stato spesso il motore che ha mosso  la  politica estera tedesca,  con la Russia, con la Cina e “dentro all’Ue anche con l’Ungheria, e forse le cose potranno cambiare soltanto se nel prossimo governo la Cdu formerà una coalizione con i Verdi, più attenti a valori e diritti”,  secondo il commentatore britannico. Questi anni hanno visto Merkel da una parte e Trump dall’altra, in un confronto continuo, due visioni del mondo molto diverse, che hanno portato la cancelliera e tutta l’Ue a guardare l’America con occhi differenti. Ma adesso alla Casa Bianca c’è Biden, che dal suo insediamento ha fatto di tutto per rassicurare gli europei che possono fidarsi di nuovo. Ha fatto passi importanti per sovvertire l’involuzione trumpiana, ma rimane un senso di sfiducia, il pensiero di non potersi abbandonare di nuovo nelle braccia dell’America. “C’è la sensazione che anche se Trump è stato un’eccezione, gradualmente gli Stati Uniti continueranno a diminuire il loro impegno nel mondo e nei confronti dell’Unione europea”, tanto più che il trumpismo non se ne è andato. “Biden ha una visione  tradizionale delle relazioni transatlantiche e gli europei sanno che questo è il momento di recuperare i rapporti con l’America perché ora hanno l’opportunità di dimostrare a Washington che la partnership con l’Ue coincide con gli interessi nazionali americani”. Ma la tentazione degli europei, ora che hanno imparato a cercare la loro strada, è quella di nascondersi dietro al concetto di autonomia strategica, “un concetto diplomatico che ognuno capisce e interpreta a modo suo. Per i francesi vuol dire essere un’alternativa all’America, per i tedeschi vuol dire rafforzare la componente europea dentro a una cornice di relazioni transatlantiche”. Ma poi, secondo Stephens, davanti alla realtà, i francesi sono quelli che a  livello pratico sono più propensi a collaborare con l’America rispetto ai tedeschi, “Berlino  dice che bisogna collaborare con gli Stati Uniti, ma è  spesso riluttante a sostenere le politiche americane”. 

 

I prossimi anni saranno quindi un test per i rapporti tra il presidente americano e i leader europei, “sarà il momento in cui bisogna dimostrare che non è solo retorica. le parole come multilateralismo, atlantismo e cooperazione devono diventare sostanza. Come ha detto Macron il test lo passi soltanto se ottieni dei risultati concreti”. Il primo campo in cui dimostrare concretezza potrebbe essere quello del commercio. Americani ed europei sono riusciti a far convergere le loro preferenze su una candidata comune alla Wto, l’economista nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala. “Stati Uniti ed Europa hanno detto che l’Organizzazione mondiale del commercio deve essere riformata,  dotata di sistemi più efficaci per affrontare la Cina. Bene, ma prima di riformarla, dovranno dimostrare di essere in grado di risolvere le dispute commerciali che vanno avanti tra loro. Finché non risolveranno i problemi  familiari non avranno credibilità per fare altri passi”. 

 

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Ritrovare un terreno comune è la partenza per essere più forti, più autorevoli, centrali. Ma gli europei sembrano aver quasi perso il gusto per questa relazione antica e naturale, e se Biden fa passi verso di loro, loro non sembrano fare passi verso gli Stati Uniti, almeno non con convinzione. “Credo che in realtà l’Ue abbia capito che dipende molto dagli Stati Uniti in termini economici, di commercio, di sicurezza. Le decisioni americane hanno sempre degli effetti diretti sugli europei, da quella di ritirarsi dal medio oriente a quella di aprire un conflitto di dazi con la Cina. L’Europa sa di non poter prescindere dagli Stati Uniti”. Ma negli ultimi quattro anni sono cambiate tante cose. L’America è tornata, ma dovrà fare i conti con un’Europa nuova. 

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