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Anche Lukashenka ha la sua ossessione

Micol Flammini

Viktar Barabaryka, lo sfidante del dittatore ha inventato i cuori ed è in prigione da giugno

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Roma. Il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka è pronto a passare alla repressione totale contro i manifestanti che da agosto protestano per chiedere nuove elezioni libere e trasparenti. Non che finora il regime non abbia represso, arrestato, picchiato, multato e anche ucciso, ma è deciso a fare un passo ulteriore: delle leggi per mettere fine alle manifestazioni. Questa settimana le forze dell’ordine hanno perquisito gli appartamenti di oltre quaranta giornalisti indipendenti, attivisti e difensori dei diritti umani. Ieri due giornaliste, Darya Chultsova e Katsiaryna Andreyeva, sono state condannate a due anni di prigione per aver ripreso e trasmesso una protesta iniziata spontaneamente dopo che un gruppo di agenti in borghese aveva picchiato Raman Bandarenka, fino a ucciderlo. Il ragazzo stava appendendo nastri bianchi e rossi, i colori della protesta, per le strade del suo quartiere. Durante il processo Darya Chultsova e Katsiaryna Andreyeva sorridevano, si abbracciavano, promettevano che prima o poi i bielorussi avrebbero vinto: “Lukashenka non può spezzarci”. La sensazione è proprio questa, che i bielorussi abbiano portato la loro lotta pacifica talmente lontano, che abbiano sopportato così tanto – morti, arresti, umiliazioni – che non sono pronti a tornare indietro e a riconsegnare la nazione a Lukashenka, che ne detiene il potere, ma ormai senza più legittimità. 

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Roma. Il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka è pronto a passare alla repressione totale contro i manifestanti che da agosto protestano per chiedere nuove elezioni libere e trasparenti. Non che finora il regime non abbia represso, arrestato, picchiato, multato e anche ucciso, ma è deciso a fare un passo ulteriore: delle leggi per mettere fine alle manifestazioni. Questa settimana le forze dell’ordine hanno perquisito gli appartamenti di oltre quaranta giornalisti indipendenti, attivisti e difensori dei diritti umani. Ieri due giornaliste, Darya Chultsova e Katsiaryna Andreyeva, sono state condannate a due anni di prigione per aver ripreso e trasmesso una protesta iniziata spontaneamente dopo che un gruppo di agenti in borghese aveva picchiato Raman Bandarenka, fino a ucciderlo. Il ragazzo stava appendendo nastri bianchi e rossi, i colori della protesta, per le strade del suo quartiere. Durante il processo Darya Chultsova e Katsiaryna Andreyeva sorridevano, si abbracciavano, promettevano che prima o poi i bielorussi avrebbero vinto: “Lukashenka non può spezzarci”. La sensazione è proprio questa, che i bielorussi abbiano portato la loro lotta pacifica talmente lontano, che abbiano sopportato così tanto – morti, arresti, umiliazioni – che non sono pronti a tornare indietro e a riconsegnare la nazione a Lukashenka, che ne detiene il potere, ma ormai senza più legittimità. 

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L’opposizione è sparpagliata, in esilio o in carcere, ma c’è un uomo che il dittatore teme più degli altri. Come Vladimir Putin ha la sua ossessione, Alexei Navalny, anche Lukashenka ha la sua: Viktar Babaryka, nonostante   due oppositori siano diversi profondamente. Babaryka è un banchiere, capo della Belgazprombank, e si è dimesso per sfidare il dittatore alle elezioni presidenziali dello scorso anno. La sua campagna elettorale andava così bene che a giugno il banchiere aveva già raccolto più di 430 mila firme, per candidarsi ne bastano centomila.  I sondaggi erano talmente a suo favore che Lukashenka diede ordine di non pubblicarli più. Poco dopo, a fine giugno, è stato arrestato con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro. E Lukashenka pensava così di essersi liberato dei suoi avversari più pericolosi, ma Babaryka dal carcere aveva suggerito agli organizzatori della sua campagna elettorale di aiutare Sviatlana Tikhanovskaya, unica candidata libera e moglie del blogger inventore della protesta delle pantofole, anche lui in prigione. L’aiuto di Babaryka è stato determinante, Tikhanovskaya era inesperta, ma a sostenerla erano arrivate persone competenti. Una su tutte: il capo della campagna del banchiere, Maria Kalashnikava, la flautista che rispondeva alla polizia con i cuoricini – il simbolo della campagna elettorale del banchiere – in carcere anche lei. 

 

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Babaryka in questi mesi è rimasto in prigione a fare il tifo per i suoi, gli sono stati negati gli arresti domiciliari, e contro di lui è incominciato un nuovo processo e rischia una condanna a quindici anni.
Mercoledì, il primo giorno del processo, davanti al tribunale si erano ritrovati anche alcuni manifestanti con le bandiere bianche e rosse e cartelli in suo sostegno. Lui ha lanciato questo messaggio: “L’oscurità, la malizia e le bugie non possono durare per sempre”. Ha ringraziato chi era andato a dimostrargli il suo sostegno: “Le persone hanno sacrificato il loro benessere, la loro libertà e persino le loro vite e suscitano profondo orgoglio e ammirazione”. 
Lukashenka è riuscito ad allontanare Tikhanovskaya con le minacce e lei, da Vilnius in esilio forzato, ha creato un movimento ancora più forte e una rete internazionale che non è pronta a distogliere lo sguardo da quanto avviene in Bielorussia. Ha incarcerato Babaryka e Kalashnikava, ma le strade di Minsk sono ancora piene di cuori, delle loro foto. Per quanto il dittatore sia disposto alla repressione totale, le giornaliste condannate, Darya Chultsova e Katsiaryna Andreyeva, rispondono alla condanna sorridendo, con lo sguardo di chi è convinto che non manchi molto alla vittoria.  

 

La fine può essere lunghissima per il dittatore, al quale non è rimasto altro che darsi appuntamento con Putin. Si vedranno lunedì prossimo, dopo il congresso di due giorni in cui Lukashenka  questa settimana avrebbe dovuto delineare quali sono le riforme necessarie al paese, mesi fa ha promesso una nuova costituzione, e adesso  deve rendere conto a Putin dei progressi. 

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