Il presidente della Bielorussia Alxander Lukashenko (LaPresse/Sergei Gapon)

Le pantofole contro Lukashenko

Micol Flammini

Si riempie la piazza bielorussa e il dittatore teme uno scossone come in Ucraina. L'élite del paese sembra stanca di lui: ecco i suoi rivali (con i loro simboli)

Il 9 agosto si vota in Bielorussia e il presidente Alexander Lukashenko si è ricandidato per la sesta volta. la prima fu nel 1994 e i suoi oppositori sostengono che nessuna elezione sia mai stata giusta e imparziale. Il rischio, dicono, è che il presidente conquisti un altro mandato anche se la parte della popolazione che lo sostiene perde pezzi, sempre più rapidamente. La pessima gestione del coronavirus ha influito non poco sul crollo della fiducia dei bielorussi nei confronti del loro presidente, che adesso è impegnato a fronteggiare due fenomeni, per lui quasi inediti: le proteste frequenti e dei candidati che sanno come farsi ascoltare. 

  

Vodka, trattori e sauna

 
Il numero totale dei contagiati in Bielorussia durante la pandemia è di più di 57 mila persone, ma sin dall’inizio, e anche dopo la decisione della Russia di mettere in quarantena la nazione, il presidente Lukashenko ha continuato a negare che il coronavirus potesse essere un rischio per la popolazione. E’ entrato nel novero degli autocrati negazionisti che prospettavano rimedi casalinghi e la superiorità del suo popolo come antidoti alla pandemia. Non ha mai voluto imporre delle restrizioni, i confini sono rimasti aperti e il numero dei morti è arrivato a 337, un numero che secondo gli esperti è alto per una popolazione di 9 milioni di persone. “Una psicosi che non fermerà la Bielorussia”, l’ha definita il presidente che consigliava ai cittadini di curarsi con la vodka e di fortificarsi facendo la sauna. Poi ha fatto un giro per le fabbriche del paese, è andato anche a trovare i contadini e li ha incoraggiati a mettersi sul trattore, motore dei bielorussi “che guarirà tutti”. I cittadini non hanno creduto a questa propaganda e hanno risposto protestando, con i volti protetti dalle mascherine. 

(worldometers.info)

Le proteste in pantofole


Le strade e le piazze della Bielorussia hanno iniziato a riempirsi qualche mese fa, quando gli oppositori di Lukashenko raccoglievano le firme per potersi candidare. Allora non erano ancora proteste contro di lui, ma segnali di un interessamento crescente per la politica e, vedendo la mole delle file di persone pronte a sostenere i suoi oppositori, il presidente ha iniziato a capire le dimensioni del dissenso e ad arrestare alcuni politici. Ha anche fatto un rimpasto di governo, ossessionato dal fatto che dovesse circondarsi di fedelissimi. Gli arresti arbitrari hanno peggiorato la situazione e più aumentavano i raduni e i cortei, più Lukashenko gridava che no, la Bielorussia non è l’Ucraina, e lui non è Yanukovich (il presidente ucraino deposto dopo le proteste di Kiev del 2014) e quindi a Minsk non ci sarebbe stata nessuna Euromaidan. Di raduni e proteste ce ne sono state molte ma quella che ha avuto più seguito è stata la protesta delle pantofole, indetta dallo youtuber Syarhey Tsikhanouski che ha invitato i bielorussi a uscire per strada, portare le loro pantofole, e usarle per schiacciare il presidente. 

 

 

Tsikhanouski è stato arrestato, gli è stato impedito di candidarsi, ma si è candidata sua moglie: Svyatlana Tsikhanouskaya. 

“Le persone hanno solo bisogno di una faccia nuova”


Quando Lukashenko si presentò come candidato per la presidenza nel 1994, si vantava di essere una novità e ripeteva quanto fosse importante per il popolo avere un nuovo volto a guidarlo. Ventisei anni dopo, arrivato al sesto mandato, è convinto che non ci sia nulla di meglio per la Bielorussia della continuità e, per garantirla, ha deciso di arrestare i nuovi volti pronti a sfidarlo. Oltre a Syarhey Tsikhanouski, lo youtuber della rivolta delle ciabatte, è stato arrestato anche Mikalay Statkevich, rivale storico del presidente, condannato a quindici giorni di carcere con l’accusa di aver organizzato e preso parte a manifestazioni non autorizzate. Per lo stesso motivo sono stati arrestati i blogger Eduard Palchys, Uladzimer Tsyhanovich e Mikalay Maslouski. L’ultimo a finire in carcere è stato Viktor Babaryko, ex amministratore delegato di Belgazprombank, dimessosi per correre contro Lukashenko. Anche il figlio di Babaryko, Eduard che gestiva la campagna elettorale del padre, è stato arrestato e a Minsk i manifestanti sono scesi in strada a piedi e con le macchine, hanno suonato il clacson per ore e si sono messi uno accanto all’altro per formare una catena umana di quattro chilometri. Babaryko tra gli sfidanti è il più popolare e secondo alcuni sondaggi potrebbe ottenere oltre il 50 per cento dei voti.

(AP Photo/Sergei Grits)


Gli insider

Lukashenko ha molta paura degli insider. Oltre a Babaryko, tra i possibili candidati c’è anche Valery Tsepkalo, ex ambasciatore negli Stati Uniti e viceministro degli Esteri. L’arrivo dei due a sfidare il presidente è segno del fatto che anche le élite bielorusse iniziano a essere stanche. Babaryko e Tsepkalo hanno un programma molto simile: modernizzazione dello stato e liberalizzazione dell’economia, limite a due termini per i presidenti e una politica estera neutrale e non forzatamente filorussa. 

 

(Valery Tsepkalo a sinistra, Viktor Babaryko a destra)


Ce la farà Lukashenko?


Dal 2014, l’anno delle proteste in Ucraina che hanno portato alle dimissioni del presidente filorusso Yanukovich, Lukeshenko ha vissuto nell’ossessione di vedere anche la piazza di Minsk sollevarsi con quella forza e con tante istanze di rinnovamento e la richiesta di smetterla di guardare alla Russia ma di volgere lo sguardo a ovest, verso l’Europa. Per evitare che questo accadesse, il presidente bielorusso ha adottato varie strategie e vestito diversi panni. Prima ha cercato di mettere in chiaro l’indipendenza di Minsk da Mosca, azzardava qualche discorso pubblico in cui sottolineava che non era vero che lui e Vladimir Putin fossero d’accordo sempre su tutto, tranne che sull’hockey. Ha cercato di approfittare delle voci che correvano su una nuova struttura statale che comprendesse Bielorussia e Russia, necessaria a consentire a Putin di ricandidarsi (poi ha fatto altrimenti), per puntare i piedi e dire che la Bielorussia rimaneva dei bielorussi ma comunque amica di Mosca. Sperava che questo atteggiamento protettivo nei confronti della nazione lo avrebbero messo in salvo dalle polemiche. Non è successo e ha cambiato strategia, dalla protezione alla durezza. 

  

  

E’ la prima volta che le elezioni si terranno con una decrescita economica molto forte. Il pil di Minsk diminuirà del 4-5 per cento entro la fine del 2020 anche a causa del crollo del prezzo del petrolio e questo potrebbe dare un motivo in più ai cittadini per tentare un cambiamento. Ma restano i dubbi su come verrà gestito il voto e la mancanza di garanzie legali sulla sua trasparenza.