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Dopo le elezioni

Quel che di scabroso può fare Sánchez per scongelare la Catalogna

Guido De Franceschi

Carcere, indulti, rinunce alla minaccia di referendum illegali. Su questi temi il premier dovrà cercare un difficile equilibrio con il Partito socialista ed Esquerra: solo loro possono sbloccare l 'impasse e medicare la cancrena catalana

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Nelle elezioni catalane di domenica ci sono stati dei vincitori e degli sconfitti che non sono gli stessi di due anni fa. Eppure, poco è cambiato: i tre partiti indipendentisti, che hanno firmato un patto di non collaborazione con i socialisti, consolidano la maggioranza assoluta dei seggi e, con ogni probabilità, continueranno a governare. Ma questo non vuol dire però che non sia successo niente. I movimenti indipendentisti (Esquerra republicana, Junts per Catalunya e Candidatura d’unitat popular) festeggiano perché, se si somma ai loro suffragi anche il 2,7 del Partido demócrata europeo, che non è entrato in Parlamento, ecco che i secessionisti strappano per la prima volta in assoluto, per un soffio, anche la maggioranza assoluta dei voti e non solo quella dei seggi – sì, vabbè, ma l’affluenza è stata solo del 53,5 per cento, contro il 79 per cento del 2017, replicano gli anti indipendentisti. E festeggiano anche i socialisti che sono primi per voti e per seggi.

 

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Con ogni probabilità non potranno governare (anche se questa volta ci sarebbero tecnicamente i numeri per un tripartito di sinistra formato da loro, da Esquerra repubblicana e dalla costola catalana di Podemos), ma l’ex ministro della Sanità, Salvador Illa, ha mantenuto le promesse e li ha condotti a un ottimo risultato, mentre Podemos vivacchia, i centristi anti indipendentisti di Ciudadanos sono affondati (da 36 a 6 seggi) e il principale avversario nazionale dei socialisti, il Partito popolare, si è esibito un’altra volta in una catastrofica performance catalana. L’altro dato che emerge è il rafforzamento dell’estremismo: tra gli indipendentisti, i marxisti-situazionisti della Candidatura d’unitat popular raddoppiano i seggi (da 4 a 9); tra gli anti indipendentisti, l’estrema destra di Vox esordisce nel Parlamento catalano con ben 11 seggi. A questa polarizzazione fa però da contraltare un ancor più consistente successo dei partiti più “dialoganti” (per quanto, nel contesto catalano, l’utilizzo di tale vocabolo sia di per sé iperbolico): i socialisti ed Esquerra republicana. Infatti, se nel 2017 ad arrivare (inutilmente) primo nelle elezioni catalane era stato il movimento Ciudadanos, irriducibile a ogni negoziazione con gli indipendentisti, e a imporsi nel fronte secessionista era stato Junts, partito altrettanto irriducibile, questa volta, nei rispettivi campi, hanno prevalso i socialisti ed Esquerra, che hanno qualche chance di provare a sedersi a un tavolo.

 

D’altronde, se a Madrid Junts non parla con il premier socialista, Pedro Sánchez, Esquerra, non più tardi di un paio di mesi fa, ha invece prestato i suoi voti nel Parlamento nazionale per approvare la Finanziaria e permettere al governo di proseguire il suo percorso. Con questo difficile gioco di triangolazioni, ora il Partito socialista e Esquerra, uno governando a Madrid e l’altra a Barcellona, sono chiamati a un compito quasi storico: provare a medicare la cancrena catalana. Solo loro possono provarci. Ci sarà da parlare di cose scabrose: carcere, indulti, rinunce almeno temporanee alla minaccia di referendum illegali. E sono già pronte per entrambi i partiti le accuse di alto tradimento: da parte di Junts verso Esquerra e da parte del Pp, di Ciudadanos e soprattutto di Vox verso i socialisti. Ma se nessuno si prenderà qualche rischio, almeno in segreto, la palude catalana diventerà sempre più limacciosa.

 

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