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I calcoli (e le attese) di Sánchez per le elezioni catalane

Si vota domenica, le forze indipendentiste fanno un accordo per escludere ogni patto con i socialisti. Ma il premier ha già tre buone notizie quasi certe, e un incertissima speranza

Guido De Franceschi

Ciudadanos, che da anni erode al centro l’elettorato socialista, andrà molto male e aggraverà la sua crisi. La sottomarca catalana di Podemos avrà un risultato modesto. A destra, il Partito popolare, che sta affrontando un nuovo tifone giudiziario, e i sovranisti di Vox tenteranno di farsi del male fino all’ultimo voto

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Come tutti, anche il premier spagnolo Pedro Sánchez arriva alle importanti elezioni catalane di dopodomani un po’ alla bell’e meglio. E non solo perché in Spagna la gestione della pandemia finisce per piallare ogni altra priorità. Ma anche perché il contesto catalano continua a essere un enorme pasticcio, in cui domenica si giocheranno in tre il primo posto nelle urne: il Partito socialista del premier Sánchez e due movimenti indipendentisti, Esquerra republicana (il cui leader, Oriol Junqueras, è in prigione) e Junts (il cui leader, Carles Puigdemont, è rifugiato all’estero).

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Come tutti, anche il premier spagnolo Pedro Sánchez arriva alle importanti elezioni catalane di dopodomani un po’ alla bell’e meglio. E non solo perché in Spagna la gestione della pandemia finisce per piallare ogni altra priorità. Ma anche perché il contesto catalano continua a essere un enorme pasticcio, in cui domenica si giocheranno in tre il primo posto nelle urne: il Partito socialista del premier Sánchez e due movimenti indipendentisti, Esquerra republicana (il cui leader, Oriol Junqueras, è in prigione) e Junts (il cui leader, Carles Puigdemont, è rifugiato all’estero).

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Qualche giorno fa  il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha avuto la brillante idea di fare eco al ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, e ha detto che in Spagna “non c’è una situazione di piena normalità politica e democratica”, dimenticandosi forse che della Spagna il vicepremier è proprio lui. Anche se poi, in effetti, dire che la situazione in Catalogna sia proprio normale-normale risulta difficile – qualunque cosa si pensi della carcerazione di Junqueras, della permanenza in Belgio di Puigdemont (esilio o latitanza?) e, soprattutto, dell’opportunità che un leader politico occidentale confermi le tesi putiniane riguardo al paese di cui lui stesso è vicepremier.

 

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A una campagna elettorale sghemba ha poi contribuito anche il fatto che tutti i partiti, tranne quello socialista, avrebbero voluto spostare un po’ più in là questo voto e che solo all’ultimo il tribunale abbia deciso di mantenere la data originaria. Però, se tutti arrivano al voto alla bell’e meglio, solo Sánchez (oltre all’estrema destra di Vox) potrebbe guadagnare davvero qualcosa dal voto catalano, visto che, qualora nelle urne si allineasse una lunga serie di “se”, il premier potrebbe consolidare la forza del suo governo, che all’inizio sembrava fragilissimo ma che si è rivelato sempre più resistente.

 

Candidando alla guida della Catalogna il suo ministro della Sanità, Salvador Illa – un po’ noioso, poco noto agli elettori e finora estraneo al  conflitto pro o contro l’indipendenza – Sánchez ha puntato sulla sorpresa. E dai sondaggi ha già ricevuto tre buone notizie (quasi certe) e una grande (ma molto incerta) speranza. La prima notizia è che il partito Ciudadanos, che da anni erode al centro l’elettorato socialista, andrà molto male e aggraverà la sua crisi. La seconda è che la sottomarca catalana di Podemos avrà un risultato modesto. La terza è che, a destra, il Partito popolare, che sta affrontando un nuovo tifone giudiziario, e i sovranisti di Vox tenteranno di farsi del male fino all’ultimo voto, con  ripercussioni a livello nazionale. La grande speranza per i socialisti, invece, è una vittoria alle elezioni catalane.

 

Ma che tipo di vittoria? Per i socialisti arrivare davanti agli indipendentisti di sinistra di Esquerra e agli indipendentisti centristi di Junts sarebbe un buon colpo di immagine ma, se la somma dei partiti indipendentisti, com’è probabile, mantenesse la maggioranza dei seggi, si tratterebbe  di una “vittoria” tra virgolette. Per i socialisti sarebbe invece  una vera vittoria, se il loro successo elettorale fosse tale da rendere impossibile, nei numeri, l’ennesima alleanza tra i pur litigiosissimi partiti indipendentisti. In quel caso, l’unica alternativa sarebbe probabilmente un governo formato dai socialisti, da Esquerra e da Podemos. E cioè un esecutivo di sinistra capace  di stendere una fragile passerella attraverso le trincee e di rompere il fronte indipendentista. Si tratterebbe di un’impresa  complessa specie dopo che le forze indipendentiste hanno firmato un cordone sanitario per escludere ogni patto con i socialisti e un accordo con Esquerra esporrebbe senz’altro i socialisti ad accuse di “collaborazionismo con i golpisti”. Ma questa critica arriverebbe da una destra indebolita dalla concorrenza tra Pp e Vox e il raggiungimento di una “normalizzatrice” posizione di governo nell’indomabile Catalogna sarebbe comunque per Sánchez un successo clamoroso.

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In realtà, il deterioramento dei rapporti tra Esquerra e Junts fa sì che, anche in caso di maggioranza  indipendentista, non sia da escludersi  l’ipotesi che ai socialisti riesca il colpo di strappare a Junqueras un “accordo separato” di governo che tagli fuori Puigdemont. Ma è  presto per spingersi così in là con le congetture. Anche perché  Junts, è tradizionalmente sottostimato nei sondaggi: se  andrà un pochino meglio del previsto e sarà quindi il partito più votato, Sánchez dovrebbe rassegnarsi a constatare che in Catalogna gli indipendentisti, e i meno dialoganti, rimangono più forti. Poi è vero che Pp, Ciudadanos e Podemos starebbero messi  peggio dei socialisti. Ma per Sánchez sarebbe una  magra Schadenfreude, se si considera quali speranze abbia imprevedibilmente suscitato  la candidatura di Illa.
 

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