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Lo Stato islamico prende il controllo di un campo per sfollati in Siria

Daniele Ranieri

Decapitazioni, agguati con pistole e venti morti in mese dentro alla tendopoli di al Hol che ospita decine di migliaia di persone

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Lo Stato islamico impone il suo controllo sul campo di al Hol, una tendopoli sorvegliata dalle milizie curde che ospita circa settantamila persone – in maggioranza donne e bambini – nella Siria orientale, vicino al confine con l’Iraq. A gennaio la fazione dello Stato islamico che tenta di diventare dominante all’interno del campo ha ucciso venti persone. Al Hol è sempre stato un luogo violento e infestato da estremisti e l’anno scorso c’erano stati dodici omicidi, ma questa accelerazione delle violenze è senza precedenti. Nella prima settimana di gennaio il capo del consiglio civico siriano, uno degli organismi che dovrebbe aiutare la vita delle migliaia di persone dentro alla tendopoli, è stato ucciso con alcuni colpi di pistola alla testa mentre usciva dalla moschea del settore 4 (il campo è diviso in tanti settori). Il giorno dopo le forze di sicurezza curde hanno lanciato un raid per trovare le armi da fuoco e i colpevoli, ma uno degli uomini è stato ucciso durante l’operazione e questo fa comprendere a che livello di pericolosità è arrivata la situazione. Giorno dopo giorno al Hol si trasforma in una favela internazionale in suppurazione – le famiglie straniere sono migliaia, anche dall’Europa – dove i curdi non hanno più una presa solida su quello che succede. Il 16 gennaio la fazione dello Stato islamico di al Hol ha decapitato un anziano iracheno e ha scattato due foto – come accadeva quando il gruppo non era ancora stato sconfitto e non aveva perso tutto il suo territorio. La testa è stata lasciata nel settore 1 e il corpo è stato trovato nel settore 5. Il centro informazioni del Rojava, che parla a nome delle forze curde nella Siria orientale, dice al Foglio che la maggior parte degli omicidi dentro al Hol è stata compiuta con armi da fuoco “in stile esecuzione, con un colpo alla testa” e che le pistole sono contrabbandate dall’esterno del campo. Il resto degli attacchi, almeno nove, è stato compiuto con coltelli e le vittime sono state sgozzate. 

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Lo Stato islamico impone il suo controllo sul campo di al Hol, una tendopoli sorvegliata dalle milizie curde che ospita circa settantamila persone – in maggioranza donne e bambini – nella Siria orientale, vicino al confine con l’Iraq. A gennaio la fazione dello Stato islamico che tenta di diventare dominante all’interno del campo ha ucciso venti persone. Al Hol è sempre stato un luogo violento e infestato da estremisti e l’anno scorso c’erano stati dodici omicidi, ma questa accelerazione delle violenze è senza precedenti. Nella prima settimana di gennaio il capo del consiglio civico siriano, uno degli organismi che dovrebbe aiutare la vita delle migliaia di persone dentro alla tendopoli, è stato ucciso con alcuni colpi di pistola alla testa mentre usciva dalla moschea del settore 4 (il campo è diviso in tanti settori). Il giorno dopo le forze di sicurezza curde hanno lanciato un raid per trovare le armi da fuoco e i colpevoli, ma uno degli uomini è stato ucciso durante l’operazione e questo fa comprendere a che livello di pericolosità è arrivata la situazione. Giorno dopo giorno al Hol si trasforma in una favela internazionale in suppurazione – le famiglie straniere sono migliaia, anche dall’Europa – dove i curdi non hanno più una presa solida su quello che succede. Il 16 gennaio la fazione dello Stato islamico di al Hol ha decapitato un anziano iracheno e ha scattato due foto – come accadeva quando il gruppo non era ancora stato sconfitto e non aveva perso tutto il suo territorio. La testa è stata lasciata nel settore 1 e il corpo è stato trovato nel settore 5. Il centro informazioni del Rojava, che parla a nome delle forze curde nella Siria orientale, dice al Foglio che la maggior parte degli omicidi dentro al Hol è stata compiuta con armi da fuoco “in stile esecuzione, con un colpo alla testa” e che le pistole sono contrabbandate dall’esterno del campo. Il resto degli attacchi, almeno nove, è stato compiuto con coltelli e le vittime sono state sgozzate. 

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I curdi hanno deciso di concentrare ad al Hol tutte le famiglie, donne e bambini, dello Stato islamico che si arrendevano o erano catturate durante il progressivo collasso dell’esercito degli estremisti. Nel marzo 2019 decine di migliaia di appartenenti al gruppo finirono imbottigliati in poche centinaia di metri quadri di territorio a Baghouz, in Siria, e capitolarono sotto le bombe degli aerei americani. Gli uomini furono portati in prigioni affollatissime, le donne e i bambini furono trasferiti nel campo. Da allora i sopravvissuti sono divisi in due fazioni: chi cerca di arrendersi e tornare in patria e i fanatici che vogliono proseguire la guerra perché considerano questo periodo soltanto una fase poco fortunata prima della rimonta per volere di Dio. 

 
Dentro al Hol questo conflitto si è trasformato in una sequenza infinita di violenze: le fanatiche minacciano le altre, le costringono a comportarsi come se vivessero ancora nello Stato islamico, rifiutano qualsiasi beneficio offerto dai curdi – hanno bruciato la scuola per i bambini e l’ambulatorio – e uccidono. Hanno fatto sparire i coltelli dalle cucine, li tengono nelle maniche delle tuniche ed è difficile capire chi nasconde che cosa. Hanno anche telefonini nascosti con i quali comunicano con l’esterno e ricevono donazioni in soldi e istruzioni. 

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In teoria il campo è chiuso e sorvegliato, ma ci sono casi di donne che hanno lasciato al Hol e sono ricomparse nella regione di Idlib – è a cinquecento chilometri e due confini di distanza. E’ chiaro che sono state aiutate dal network clandestino dello Stato islamico. Il centro informazioni dice di non avere mai sentito di casi di persone portate dentro al campo, ma di persone aiutate a evadere sì. Nelle due foto della decapitazione la mano di chi decapita sembra appartenere a un uomo. Dentro le carceri gli uomini dello Stato islamico sono all’oscuro di quello che succede all’esterno e non sanno nemmeno della morte del capo, Abu Bakr al Baghdadi, avvenuta nel 2019. Ma le donne sono in contatto con lo Stato islamico e c’è da chiedersi se questa violenza interna al campo non sia lo specchio della crescente forza del gruppo all’esterno. 
 

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