PUBBLICITÁ

In Russia ora chi protesta non prende più una multa, finisce in carcere, in condizioni tremende

Il giornalista Smirnov condannato per un retweet, i manganelli e gli arresti alle proteste. La logica semplicistica delle punizioni esemplari

Micol Flammini

Putin è disposto a stipare in prigione la parte del paese che non sta con lui e che è stanca dell'erosione della democrazia russa. Oltre Navalny, sono tante la storie da seguire con attenzione

PUBBLICITÁ

Sergei Smirnov è un giornalista, direttore del sito Mediazona, e la sua storia è da leggere con attenzione per capire quanto l’erosione della democrazia in Russia vada ben oltre il caso di Alexei Navalny. Smirnov è stato arrestato mentre passeggiava per Mosca con suo figlio, il 30 gennaio scorso. E’ stato accusato di aver partecipato alle manifestazioni non autorizzate del 23 gennaio, giorno in cui i russi sono scesi nelle strade delle principali città contro il Cremlino e per chiedere la liberazione di Navalny. Smirnov però quel giorno non era a manifestare, anzi, come potevano dimostrare i suoi colleghi, non era neppure in strada a seguire le proteste. Era in redazione. Per condannare Smirnov bisognava trovare altri pretesti. Per questo è spuntato fuori un tweet, anzi un retweet: il giornalista aveva condiviso un post che rideva della somiglianza tra lui e un cantante punk, Dmitri Spirin. Nella foto però il cantante esprimeva il suo sostegno a Navalny e indicava il giorno e l’ora della protesta. La giustizia russa quindi ha compiuto un volo molto ardito  e   Smirnov è stato condannato,  con l’accusa di  aver incitato alla protesta, a 25 giorni di carcere. Ma in quale carcere?

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Sergei Smirnov è un giornalista, direttore del sito Mediazona, e la sua storia è da leggere con attenzione per capire quanto l’erosione della democrazia in Russia vada ben oltre il caso di Alexei Navalny. Smirnov è stato arrestato mentre passeggiava per Mosca con suo figlio, il 30 gennaio scorso. E’ stato accusato di aver partecipato alle manifestazioni non autorizzate del 23 gennaio, giorno in cui i russi sono scesi nelle strade delle principali città contro il Cremlino e per chiedere la liberazione di Navalny. Smirnov però quel giorno non era a manifestare, anzi, come potevano dimostrare i suoi colleghi, non era neppure in strada a seguire le proteste. Era in redazione. Per condannare Smirnov bisognava trovare altri pretesti. Per questo è spuntato fuori un tweet, anzi un retweet: il giornalista aveva condiviso un post che rideva della somiglianza tra lui e un cantante punk, Dmitri Spirin. Nella foto però il cantante esprimeva il suo sostegno a Navalny e indicava il giorno e l’ora della protesta. La giustizia russa quindi ha compiuto un volo molto ardito  e   Smirnov è stato condannato,  con l’accusa di  aver incitato alla protesta, a 25 giorni di carcere. Ma in quale carcere?

PUBBLICITÁ

 

Gli arresti durante le manifestazioni sono stati numerosissimi e secondo la ong che si occupa di tutelare i diritti dei detenuti politici, Ovd-Info, nelle carceri russe non c’è più posto. Di solito la partecipazione a manifestazioni non autorizzate viene punita con una multa, ma questa volta le autorità hanno usato  manganellate e arresti: ecco cosa succede a chi protesta. Smirnov e altri 27 ragazzi che avevano manifestato, dopo aver trascorso ore di attesa in furgoni della polizia senza mangiare né bere,  sono stati stipati in una cella per otto persone, quattro letti a castello, nel centro di detenzione temporanea per cittadini stranieri di Sakharovo. Da Sakharovo, Smirnov e i ragazzi hanno iniziato a far uscire foto e video per denunciare le condizioni in cui venivano reclusi, i bagni  luridi, la mancanza di spazio: in alcuni scatti si vede che dormono,  ammassati, qualcuno seduto, qualcuno con la faccia su un tavolo. Il ministero dell’Interno ha detto che sono immagini fuori contesto, le carceri non stanno scoppiando. Ma è stato smentito dallo stesso portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, che ha detto che è vero che il numero di detenuti è troppo alto, a causa di chi ha   “partecipato ad azioni illegali”. Il messaggio è: se non volete finire a Sakharovo smettete di protestare.

 

PUBBLICITÁ

 

Navalny è stato condannato a due anni e otto mesi di  carcere, oggi dovrà affrontare un nuovo processo per aver offeso un veterano. Ma in Russia, il deterioramento rapidissimo delle strutture democratiche va oltre l’oppositore sopravvissuto all’avvelenamento. La repressione delle proteste, il carcere per  i manifestanti, l’incarcerazione di un giornalista per un tweet, anzi un retweet, mostrano l’erosione  voluta e volutamente palese dello stato di diritto.  L’esemplarità delle pene, l’ostentazione con cui  Peskov rimarca la situazione nelle prigioni russe dimostrano qual è la  direzione che sta prendendo il regime di Vladimir Putin, finora capo di una democrazia illiberale – l’ha inventata lui – ma determinato a rimanere al potere anche a costo di stipare tutta la Russia in un centro di detenzione.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ