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Dosi e liti

Spahn e Söder, gli uomini del post Merkel che sanno di nazionalismo

Le pressioni tedesche hanno portato l'Ue a infilarsi nel conflitto tra stati sui vaccini. Le parole del ministro e del governatore bavarese sono quelle più forti. Merkel invece sta rifacendo ordine

Paola Peduzzi

Spahn è stato il primo la settimana scorsa a insistere: dobbiamo mettere un vincolo all’esportazione dei vaccini, altrimenti restiamo indietro. Gli altri (cioè gli inglesi, ma anche gli americani) lo fanno, perché noi no? Söder ha detto: “E’ difficile spiegare che un vaccino molto buono viene sviluppato in Germania ma viene somministrato in maniera più veloce in un altro paese”

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L’opinione pubblica tedesca è in subbuglio, si lamenta perché l’epidemia continua a essere forte nonostante il megalockdown, come lo chiamano adesso, e perché la campagna di vaccinazione sembra muoversi con troppo ritardo. Abituati bene, i tedeschi ora sono molto critici e insofferenti: i giornali riportano questo malcontento amplificandolo e ripetendo che la leadership Angela Merkel-Ursula von der Leyen, le due dame tedesche a Berlino e a Bruxelles, sta mostrando una debolezza e una confusione inattese e ingestibili. Poiché gli umori dei tedeschi hanno un impatto anche fuori dai confini, il malcontento è rotolato fino ai palazzi europei, al punto che le “pressioni tedesche” sono diventate il motivo dell’ultimo, goffo ballo sui limiti all’esportazione dei vaccini e il principale tema di discussione degli inglesi, notoriamente in competizione quasi culturale con la Germania.

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L’opinione pubblica tedesca è in subbuglio, si lamenta perché l’epidemia continua a essere forte nonostante il megalockdown, come lo chiamano adesso, e perché la campagna di vaccinazione sembra muoversi con troppo ritardo. Abituati bene, i tedeschi ora sono molto critici e insofferenti: i giornali riportano questo malcontento amplificandolo e ripetendo che la leadership Angela Merkel-Ursula von der Leyen, le due dame tedesche a Berlino e a Bruxelles, sta mostrando una debolezza e una confusione inattese e ingestibili. Poiché gli umori dei tedeschi hanno un impatto anche fuori dai confini, il malcontento è rotolato fino ai palazzi europei, al punto che le “pressioni tedesche” sono diventate il motivo dell’ultimo, goffo ballo sui limiti all’esportazione dei vaccini e il principale tema di discussione degli inglesi, notoriamente in competizione quasi culturale con la Germania.

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Che cosa sono allora le pressioni tedesche? La cancelliera è così in difficoltà? La Merkel ha parlato due giorni fa, dopo un incontro di cinque ore con i governatori e i rappresentati delle case farmaceutiche che producono i vaccini, e ha detto: l’obiettivo di offrire a tutti i tedeschi un vaccino entro la fine dell’estate è ancora valido e raggiungibile (al momento sono stati consegnati 18,5 milioni di dosi e 12 sono state somministrati), il ritardo di questo trimestre sarà compensato, e prepariamoci ad avere a che fare con i vaccini per molto tempo perché “assomiglia al vaccino anti influenzale, ogni anno devi essere rivaccinato perché il virus cambia”. C’è ritardo e ritardo: quello delle consegne è una debolezza e va governato con decisione, ha detto la Merkel, quello sull’approvazione dei vaccini è giustificato, “ci sono anche buone ragioni nell’essere più lenti”. Quest’ultimo messaggio è rivolto agli inglesi che vanno rapidi e si assumono un grande rischio in termini di efficacia. E serve anche per circoscrivere l’apertura ai vaccini cinesi e russi: devono prima essere approvati, la Germania non è l’Ungheria.

Le parole della Merkel non suonano né insofferenti né particolarmente accusatorie, semmai caute e ripetitive: armatevi di tanta pazienza, è ancora lunga.  Dove sono le pressioni tedesche allora? E’ più facile riscontrarle nelle parole del ministro della Salute, Jens Spahn, e in quelle del governatore della Baviera, Markus Söder, cioè due dei personaggi che animano e animeranno il post Merkel, la stagione che molti commentatori e politici hanno per anni tentato di anticipare e che ora è qui, in un momento di massima incertezza in cui stare dietro agli umori dei tedeschi è ancora più faticoso. Il primo, Spahn, è in ticket con il nuovo leader della Cdu, Armin Laschet; il secondo, Söder, sogna di poter essere scelto come candidato cancelliere dell’Unione, l’alleanza elettorale tra la Cdu e la Csu bavarese.

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Spahn è stato il primo la settimana scorsa a insistere: dobbiamo mettere un vincolo all’esportazione dei vaccini, altrimenti restiamo indietro. Gli altri (cioè gli inglesi, ma anche gli americani) lo fanno, perché noi no? L’istinto nazionalista cui l’Ue si è sempre opposta è stato reintrodotto da Spahn, che così ha potuto dare una risposta anche all’opinione pubblica tedesca: ora chiudiamo tutto, abbiamo anche gli stabilimenti, torneremo a vaccinare a ritmo sostenuto. Questa insistenza, sommata a quella della Francia che compensa i propri ritardi nella campagna vaccinale accanendosi sugli inglesi, ha portato la von der Leyen a infilarsi nel gioco dei nazionalismi contrapposti, con risultati invero infelici, per lei e per la credibilità della strategia sulle vaccinazioni.  

Söder ha criticato più volte la strategia negoziale dell’Ue sui vaccini, lo ha fatto anche dopo l’incontro con la Merkel, e nei giorni precedenti aveva precisato: “E’ difficile spiegare che un vaccino molto buono viene sviluppato in Germania ma viene somministrato in maniera più veloce in un altro paese”. Il riferimento è sempre agli inglesi, che lo hanno notato costruendo così quel paradosso per cui gli autori della Brexit si arrabbiano se l’Europa, e nella fattispecie la Germania, dicono un qualcosa assimilabile a “noi first”.
Ora la Merkel si è schierata contro i divieti all’esportazione e sta ristabilendo l’ordine delle priorità, riparando gli errori di tutti.  Ma dovremo abituarci alle pressioni e alle improvvisazioni di chi vuole prendere il suo posto.

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