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Il modello Israele a Davos

Non solo vaccini, ma anche cybersicurezza e gestione delle risorse idriche

Luciana Grosso

Al World Economic Forum Netanyahu spiega come ha fatto il suo paese a diventare un laboratorio all'avanguardia. "Abbiamo vaccinato l’82% dei nostri anziani, ma c'è ancora bisogno dei lockdown"

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Ci sono tre cose per cui, oggi più del solito, il mondo guarda a Israele: la gestione della campagna vaccinale, lo sviluppo tecnologico e di cybersicurezza, e la politica di accumulo e risparmio di acqua. Di tutte queste tre cose ha parlato, nel corso del suo intervento a Davos il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha scelto di non tenere un discorso, ma di partecipare a un meeting aperto a domande. E per tutti e tre i temi, in buona sostanza, la risposta è stata la stessa: istruzione e tecnologia. 

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Ci sono tre cose per cui, oggi più del solito, il mondo guarda a Israele: la gestione della campagna vaccinale, lo sviluppo tecnologico e di cybersicurezza, e la politica di accumulo e risparmio di acqua. Di tutte queste tre cose ha parlato, nel corso del suo intervento a Davos il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha scelto di non tenere un discorso, ma di partecipare a un meeting aperto a domande. E per tutti e tre i temi, in buona sostanza, la risposta è stata la stessa: istruzione e tecnologia. 

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La prima domanda, fatta dal presidente del Forum Børge Brende riguardava la campagna vaccinale, che benché stia avvenendo a tempo di record (il 15% della popolazione ha già fatto il secondo richiamo) non ha ancora fatto archiviare i lockdown, il che è apparentemente una contraddizione. Perché? La risposta di Netanyahu è diretta e assai poco rasserenante: “Abbiamo vaccinato l’82% dei nostri anziani e puntiamo al 99%. Ma ancora non sappiamo cosa succederà con le mutazioni del virus. È solo questione di tempo prima che arrivi una mutazione contro la quale il vaccino non funziona. Ogni mutazione, da quella trovata in UK a quella brasiliana, ha almeno due settimane di vantaggio su di noi. E prima o poi arriverà un ceppo contro il quale i vaccini non funzionano. E per questo i nostri aeroporti sono chiusi. Siamo in gara con le mutazioni. E questa gara durerà anni”. 

 

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Ma la campagna israeliana contro il virus punta molti più in alto che al solo contenimento dell’infezione da Covid: “Puntiamo a diventare un laboratorio mondiale per l’immunità di gregge. Il sistema sanitario israeliano combina tecnologia e sicurezza sociale e il 98% dei cittadini israeliani possiede documenti digitali risalenti a 20 anni fa. Israele si è offerto di condividere queste informazioni per comprendere, su scala mondiale, come sia possibile prevenire i contagi e per capire quale tasso di vaccinazione sarà necessario per riaprire le economie".

 

Poi c’è la grande partita della tecnologia e della cybersicurezza che il premier israeliano affronta rispondendo alle domande del ceo di Merck, Stefan Oschmann, e di quello di Palo Alto Networks, Nikesh Arora, che hanno chiesto di indicare, alle altre nazioni, un modello Israele, se ne esiste uno. La ricetta per la crescita tecnologica dettata da Netanyahu si basa su due elementi: istruzione e deregulation. “Ogni anno investiamo sulla formazione, soprattutto matematica, e sull'innovazione, tanto che, pur essendo un piccolo paese, abbiamo uno dei sistemi di intelligence più efficienti del mondo. Ai nostri militari diciamo che bisogna curare più il cervello che i muscoli. E molti di loro, prendono quello che hanno appreso nell’esercito per lanciare, da civili, loro attività. Ma è importante che, mentre lo fanno, non trovino ostacoli burocratici sulla loro strada. Ogni due settimane mi incontro con un comitato che mi dice come snellire le pratiche del paese. Occorre deregolamentare il più possibile”. 

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Il terzo tema sul quale Netanyahu è stato interrogato è l’acqua: lui guida un piccolo paese al centro di un deserto, che, in teoria, di acqua non dovrebbe averne, ma che, invece, oggi vanta riserve idriche superiori al suo fabbisogno. Com’è possibile? "L'acqua sarà una sfida enorme e possiamo superarla con la tecnologia. Oggi abbiamo meno precipitazioni di quando Israele è nato, 73 anni fa, ma il decuplo della popolazione. In teoria dovremmo essere senz’acqua. Ma in realtà non è così. Produciamo da soli la nostra acqua, con uno dei più grandi impianti di desalinizzazione del mondo e riciclando circa il 90% delle nostre acque reflue".

 

Un'ultima nota, assai di rilievo per l’evoluzione della politica internazionale, Netanyahu l’ha rivolta agli Accordi di Abramo. Siglati la scorsa estate tra Israele e Emirati Arabi, sono passati alla storia come il più grande (e uno dei rari) successi politici dell’amministrazione Trump: "C’è un nuovo tipo di pace che sta cambiando il rapporto tra arabi e israeliani e tra arabi ed ebrei. Abbiamo appena firmato e già decine di migliaia di israeliani sono andati a Dubai, e altri stanno arrivando qui. Le relazioni commerciali stanno fiorendo”.

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