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In Libia l'accordo di pace perde pezzi, i servizi italiani si muovono

Daniele Ranieri

L'Italia media un piano di accordo contro il ritorno della guerra civile, i negoziati delle Nazioni Unite non vanno bene

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In Libia c’è il rischio non immediato di una ripresa della guerra civile, il piano di pace delle Nazioni Unite non sta funzionando come previsto e il governo italiano, grazie alla mediazione dei servizi segreti (Aise), sfrutta il vuoto temporaneo e propone un piano alternativo – in attesa che l’Amministrazione Biden decida che cosa vuole fare. 

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In Libia c’è il rischio non immediato di una ripresa della guerra civile, il piano di pace delle Nazioni Unite non sta funzionando come previsto e il governo italiano, grazie alla mediazione dei servizi segreti (Aise), sfrutta il vuoto temporaneo e propone un piano alternativo – in attesa che l’Amministrazione Biden decida che cosa vuole fare. 

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In teoria sabato 23 gennaio c’era una prima grande scadenza fissata durante i negoziati di pace permanenti tra le due metà della Libia, la Tripoli del presidente Serraj e la Bengasi del generale Haftar – che erano in guerra fino a otto mesi fa. L’accordo sponsorizzato dalle Nazioni Unite prevedeva tre condizioni. Uno, i combattenti libici dovevano abbandonare le posizioni sul fronte e tornare alle loro basi; due, mercenari e foreign fighters – per esempio: siriani dalla parte di Tripoli, russi dalla parte di Bengasi – dovevano lasciare il paese; tre, tutte le attività di addestramento con istruttori stranieri dovevano fermarsi. Erano misure preliminari decise per incoraggiare la fiducia fra le parti e passare poi a decisioni più importanti, che (sempre in teoria) dovrebbero portare addirittura a un referendum su una nuova Costituzione ancora da scrivere e poi a elezioni a dicembre. Nessuna di quelle tre condizioni però è stata rispettata, anzi. Al momento la linea divisoria tra i due contendenti si è fermata a Sirte e proprio a partire da quella città sulla costa i mercenari russi della compagnia Wagner hanno scavato un vallo di 70 chilometri verso sud, punteggiato da più di trenta fortificazioni, che arriva fino alla base di al Jufra, che le forze di Haftar usavano come scalo aereo durante la guerra civile. 

 

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Questi lavori in corso sono il segno che non si scommette al cento per cento sul successo dei negoziati di pace guidati dall’americana Stephanie Williams, rappresentante speciale ad interim delle Nazioni Unite per la Libia che lascerà il posto allo slovacco Jan Kubis.  Williams immaginava un grande accordo di pace garantito da una doppia leadership, Fathi Bashagha per l’ovest e Aguila Saleh per l’est. Secondo il sito specializzato Africa Intelligence, gli italiani hanno un piano diverso e immaginano anche loro un grande accordo di pace però sotto un’altra doppia leadership, Ahmed Maitig per l’ovest e il generale Haftar per l’est. 

  

La mattina di martedì 19 gennaio il direttore dell’Aise, Gianni Caravelli, ha incontrato a Bengasi il generale Haftar, come aveva fatto il 17 dicembre quando aveva accompagnato il premier Conte e il ministro degli Esteri Di Maio ad annunciare la liberazione dei diciotto pescatori sequestrati. Di solito questi incontri regolari sono riservati e non ci sono foto pubbliche, ma per una gaffe i media di Haftar hanno invece pubblicato (e poi cancellato) le immagini dell’incontro su Facebook. 

  

Che il piano di pace per impedire un ritorno alla guerra civile in Libia fosse debole si sapeva, ma almeno si ragionava secondo uno schema semplice: Tripoli contro Bengasi. Adesso montano altri problemi. C’è il rischio di scontri Tripoli contro Tripoli e il rischio di una resa dei conti a Bengasi. Il presidente Fayez al Serraj, il baffone inerme che in teoria avrebbe dovuto lasciare entro la fine di ottobre, adesso distribuisce posti di potere alle milizie di Tripoli in modo da portarle dalla sua parte. Una settimana fa ha creato il cosiddetto “apparato per il sostegno alla stabilità”, un accrocchio di gruppi armati che difenderà Serraj contro il già menzionato ministro dell’Interno, Fathi Bashagha, e a dicembre aveva avocato a sé la guida della Rada, una milizia potente che prima era sotto il controllo di Bashagha. Le milizie si sono messe al servizio di Serraj perché il ministro dell’Interno aveva annunciato un’operazione di pulizia, la cosiddetta “caccia ai serpenti”, per disarmarle. Adesso Serraj si è preso le fazioni della costa a ovest di Tripoli capitale, Bashagha le fazioni della costa a est. Per ora si sorvegliano a vista. 

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