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Il ponte rotto tra Francia e Gran Bretagna

Mauro Zanon

L’Eurostar che unisce continente e isola è in crisi nera. I francesi chiedono aiuto agli inglesi, che sono freddini

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“La catastrofe è possibile”, ha dichiarato all’Afp l’amministratore delegato di Eurostar, il francese Jacques Damas. “Per favore, fate qualcosa”, hanno scritto in un appello venticinque uomini d’affari e professori universitari inglesi, affinché il governo di Londra si adoperi in fretta per salvare la compagnia ferroviaria ad alta velocità, che in primavera rischia la bancarotta a causa della crisi sanitaria. Il mitico Eurostar, il treno che ha permesso alla Gran Bretagna di non essere più un’isola, “l’unione dello slancio francese e del pragmatismo britannico”, come disse la Regina Elisabetta II inaugurando l’Eurotunnel in compagnia di François Mitterrand il 6 maggio 1994, rischia di restare fermo ai binari di King’s Cross St. Pancras o della Gare du Nord se non saranno forniti in fretta nuovi fondi.

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“La catastrofe è possibile”, ha dichiarato all’Afp l’amministratore delegato di Eurostar, il francese Jacques Damas. “Per favore, fate qualcosa”, hanno scritto in un appello venticinque uomini d’affari e professori universitari inglesi, affinché il governo di Londra si adoperi in fretta per salvare la compagnia ferroviaria ad alta velocità, che in primavera rischia la bancarotta a causa della crisi sanitaria. Il mitico Eurostar, il treno che ha permesso alla Gran Bretagna di non essere più un’isola, “l’unione dello slancio francese e del pragmatismo britannico”, come disse la Regina Elisabetta II inaugurando l’Eurotunnel in compagnia di François Mitterrand il 6 maggio 1994, rischia di restare fermo ai binari di King’s Cross St. Pancras o della Gare du Nord se non saranno forniti in fretta nuovi fondi.

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Secondo Damas, lo spettro del fallimento potrebbe concretizzarsi nel secondo trimestre del 2021, perché le casse di Eurostar, di questo passo, saranno vuote. “Ma se la crisi fosse ancora più dura”, ha aggiunto, “potrebbe anche accadere prima”. Lo scorso novembre, la società transnazionale che collega la capitale inglese a Parigi e Bruxelles attraverso il tunnel della Manica aveva annunciato che il numero di passeggeri era crollato del 95 per cento da quando i governi hanno annunciato il primo lockdown, quello di marzo, quando la pandemia iniziava a dilagare in Europa. Attualmente la compagnia effettua solo un viaggio di andata e ritorno Londra-Parigi e uno Londra-Bruxelles-Amsterdam al giorno, con convogli vuoti al 90 per cento. Nel 2020 Eurostar ha perso l’82 per cento del suo fatturato rispetto al giro d’affari di 1,1 miliardi di euro registrato nel 2019. E le nuove misure restrittive imposte dal premier britannico Boris Johnson a partire da lunedì 18 gennaio, che impongono un test Covid-19 negativo e una quarantena che varia tra i cinque e i dieci giorni una volta arrivati nel Regno Unito, hanno aggravato la situazione della società. Secondo Dumas, è il “cumulo di norme sanitarie definite dai diversi paesi serviti”, ossia Gran Bretagna, Francia, Belgio e Paesi Bassi, a far sì che Eurostar “soffra di più delle compagnie aeree”.

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Analisi condivisa da Jean-Pierre Farandou, ad della Scnf, la società che gestisce le ferrovie francesi e detiene la quota di maggioranza di Eurostar. “La situazione di Eurostar è molto critica, a causa delle condizioni sanitarie di alcuni paesi che sono andate ad aggiungersi alla Brexit”, ha affermato ieri Farandou ai microfoni di France Inter, lanciando un messaggio al presidente francese Macron e al primo ministro inglese Johnson affinché aiutino Eurostar nello stesso modo in cui hanno aiutato le compagnie aeree di bandiera. Il 55 per cento di Eurostar appartiene alla Sncf, il 5 alla compagnia ferroviaria belga Sncb, il 30 a un fondo sovrano del Québec e soltanto il 10 al fondo londinese Hermes Infrastructure. Lo stato britannico ha venduto la sua quota del 40 per cento nel 2015 per 757 milioni di sterline (850 milioni di euro), e ora, come racconta il Point, la situazione ibrida dell’azionariato di Eurostar crea diversi problemi. Per la City, la società è francese perché la quota di maggioranza è della Sncf, e dunque deve essere soccorsa da Parigi (il Financial Times, a questo proposito, ha scritto che “Eurostar sta affrontando la sua Waterloo”, e che Londra non dove mettere più alcun centesimo nella compagnia, perché non spetta ai contribuenti inglesi “rafforzare il capitale che i loro omologhi francesi posseggono in Eurostar”). Per le autorità parigine, invece, dato che Eurostar ha sede a Londra, la compagnia è britannica.

 

Le immagini di Margaret Thatcher a Lille, nel 1986, mentre parla in francese accanto a Mitterrand annunciando la costruzione dell’Eurotunnel, e quelle della Regina Elisabetta II, otto anni dopo, mentre si imbarca nello “shuttle” a bordo di una Rolls Royce attraversando per la prima volta la Manica a cento metri sotto il livello del mare accompagnata dal presidente socialista, sono un ricordo lontano. Oggi l’entente cordiale tra Londra e Parigi che fu alla base del “cantiere del secolo” sembra venir meno. Ma i ragazzi della “generazione Eurostar” ci sperano ancora e dicono: no, almeno tu, treno dei nostri sogni e delle nostre libertà, please don’t go.

 

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