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Cosa succede nel Tigré etiope, tra caccia all’uomo e truppe dell’Eritrea

Enrico Pitzianti

Un'operazione militare nel nord del paese, ufficialmente per "ripristinare lo stato di diritto", sta assumendo sempre più i connotati della guerra civile fra due etnie rivali. E ci sono già prove di massacri

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L’Etiopia ha un primo ministro premio Nobel per la pace 2019, eppure a migliaia scappano dal nord del paese, dal Tigrè, proprio per via di un’operazione militare voluta dallo stesso premier Abiy Ahmed Ali. Secondo l’Unchr che oltre confine, in Sudan, gestisce i campi di Tunaydbah e Um Rakuba a migliaia hanno attraversato il confine a piedi. Negli ultimi due mesi in circa 56 mila hanno lasciato il paese e in 220 mila sono dispersi internamente alla regione. Di cosa succede in Tigrè non se ne parla molto, perché sulla carta sarebbe soltanto “un’operazione di polizia”, ma è il tentativo (riuscito) del governo di Addis Abeba di derubricare la guerra a conflitto interno, la realtà è diversa.

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L’Etiopia ha un primo ministro premio Nobel per la pace 2019, eppure a migliaia scappano dal nord del paese, dal Tigrè, proprio per via di un’operazione militare voluta dallo stesso premier Abiy Ahmed Ali. Secondo l’Unchr che oltre confine, in Sudan, gestisce i campi di Tunaydbah e Um Rakuba a migliaia hanno attraversato il confine a piedi. Negli ultimi due mesi in circa 56 mila hanno lasciato il paese e in 220 mila sono dispersi internamente alla regione. Di cosa succede in Tigrè non se ne parla molto, perché sulla carta sarebbe soltanto “un’operazione di polizia”, ma è il tentativo (riuscito) del governo di Addis Abeba di derubricare la guerra a conflitto interno, la realtà è diversa.

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Ottenere informazioni dettagliate su cosa accade in Tigrè è difficile per due ragioni, la prima è che i giornalisti non sono ammessi o peggio espulsi (anche Will Davison, analista dell’International Crisis Group, è stato cacciato a fine novembre), la seconda è che in concomitanza con l’apice degli scontri tra le forze del Tigray People’s Liberation Front (Tplf) e quelle del governo federale (Endf) le comunicazioni dal nord dell’Etiopia sono state interrotte tagliando energia elettrica e interrompendo la rete telefonica. I due eserciti contano rispettivamente 250 mila e 140 mila unità, ma è il governo centrale ad avere il vantaggio decisivo, cioè l’aviazione: con otto caccia MiG, 15 Sukhoi Su-27 e una ventina di elicotteri tra Mi-24 e Mi-35. Ma tigrini ed esercito del governo federale non sono gli unici attori sul campo, c’è il Northern Command che in teoria risponderebbe ad Addis Abeba ma ha visto il proprio quartier generale (con sede proprio in Tigrè, a Mekelle) conquistato dalle forze tigrine, oltre a diversi generali disertare e unirsi alle file dello stesso Tplf. Infine a nord del Tigrè c’è l’Eritrea, il cui esercito è storicamente nemico dei tigrini e il cui leader Isaias Afewerki ha firmato uno storico trattato di pace con il governo etiope proprio grazie alla sua personale amicizia con Abiy. Le forze armate eritree intanto hanno ufficialmente valicato il confine: che siano in Tigrè lo ha confermato un alto ufficiale dell’esercito etiope, contraddicendo le dichiarazioni del suo stesso governo.

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Un tweet del premier etiope del 6 novembre parlava di un’operazione nel nord dell’Etiopia con “obiettivi chiari e limitati” cioè “ripristinare lo stato di diritto”. A posteriori appare piuttosto come una dichiarazione di guerra interna che corre il rischio di trasformarsi in un conflitto etnico: le truppe dell’Endf sono di etnia oromo (lo stesso Abiy è il primo premier etiope oromo) e a subire l’attacco è una popolazione interamente di etnia tigrina. Una fonte che preferisce restare anonima era presente a Mekelle durante l’assedio e poi la presa della città da parte delle truppe del governo centrale: stando al suo racconto già l’otto novembre mattina si sentivano esplosioni e spari dalle zone periferiche della città, lo stesso pomeriggio la contraerea cercava di abbattere un caccia dell’esercito federale. Per una settimana poi non c’è stata né elettricità né possibilità di usare la rete telefonica (la statale Ethio Telecom, l’unica azienda di telecomunicazioni che opera nel paese, era stata chiusa) e neanche le banche disponevano di connessione, cosa che ha creato enormi file di attesa in strada che gli stessi caccia governativi hanno minacciato volando basso e provocando il panico generale.

 

La notte del sedici novembre altre esplosioni, questa volta nella zona dell’aeroporto nei pressi di Qwiha, dove sono state bombardate anche abitazioni civili. Il 21, al centro di Mekelle, il personale del Programma alimentare mondiale organizzava bus per l’evacuazione in vista di nuovi scontri, ma senza certezze sulla sicurezza del trasporto la stessa fonte ha preferito rimanere in città. Giusto in tempo per rischiare la vita due volte: la prima il 28 novembre, quando la città è stata bombardata per tutto il pomeriggio, prima che, a sorpresa, entrasse il generale dell’esercito federale Bacha Debele sancendo la presa della capitale tigrina con una conferenza stampa la mattina seguente. L’intenzione era definire conclusa l’operazione militare con la presa simbolica di Mekelle, ma subito, via radio, il Tplf si è scusato con la popolazione per aver permesso l’ingresso di Debele e dal primo dicembre il conflitto è ripreso, lasciando di nuovo i tigrini senza elettricità né rete telefonica. A metà dicembre la nostra fonte, nonostante l’assenza di comunicazioni e il coprifuoco, è riuscita a imbarcarsi su un volo per Addis Abeba, ma per il decollo c’è voluto il via libera dalla capitale etiope: il motivo è che il Tigrè oggi è il teatro di una caccia all’uomo. Si cercano i militari del Tplf, soprattutto Debretsion Gebremichael, leader del fronte tigrino, che sarebbe in fuga sulle montagne. Intanto, nonostante l’isolamento dell’area, ci sono già prove di massacri. Foto verificate dal Crisis Evidence Lab mostrano decine di morti a Mai Kandra, tutti a causa di armi da taglio, probabilmente machete.

 

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