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Il Trumpspreader

Daniele Ranieri

Il presidente americano è un superspreader di complottismi, i social stanno soltanto correggendo anni di errori

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A proposito della cosiddetta “censura” del presidente americano Donald Trump da parte delle piattaforme social, ci sono un paio di fattori da tenere in considerazione. Li spiega Peter Singer, autore di “LikeWar”, un saggio che affronta il tema della “weaponization of social media”: usare i social come armi. Singer ha appena scritto un articolo su un sito specializzato in temi militari per ricordare che le piattaforme social non sono un campo neutro come si tende a pensare, ma favoriscono lo schieramento degli estremisti contro lo schieramento di quelli che si attengono alla realtà. Chi mente, esagera, distorce e vince, chi non lo fa non è premiato.

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A proposito della cosiddetta “censura” del presidente americano Donald Trump da parte delle piattaforme social, ci sono un paio di fattori da tenere in considerazione. Li spiega Peter Singer, autore di “LikeWar”, un saggio che affronta il tema della “weaponization of social media”: usare i social come armi. Singer ha appena scritto un articolo su un sito specializzato in temi militari per ricordare che le piattaforme social non sono un campo neutro come si tende a pensare, ma favoriscono lo schieramento degli estremisti contro lo schieramento di quelli che si attengono alla realtà. Chi mente, esagera, distorce e vince, chi non lo fa non è premiato.

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“Tutto nel sistema dei social media è sbilanciato a favore di forze tossiche, dagli algoritmi che spingono quello che vediamo sui nostri social verso l’estremismo alla reticenza da parte delle aziende ad ammettere che è così. Immaginate una partita di calciobalilla su un piano inclinato. Certo i giocatori possono tentare di fermare sempre la palla, ma alla fine i loro sforzi non conteranno. Negli ultimi anni, il tavolo ha cominciato a essere raddrizzato. Guidati dalla pressione esterna creata dalla disinformazione elettorale, dalle uccisioni di massa e dal Covid-19 – tutte cose che hanno cominciato a colpire vicino casa – e forse in modo ancora più significativo dalle rivolte interne dei dipendenti, i capi delle piattaforme hanno cominciato ad adottare una serie di misure che rendono la vita più difficile per le forze tossiche. Dal vietare alcuni tipi di pubblicità al de-ranking di menzogne (de-ranking vuol dire che l’algoritmo non premia più un contenuto perché è falso), queste misure sono aumentate sempre di più, pezzo dopo pezzo, fino a culminare nel deplatforming della voce più forte di Internet”, quella di Donald Trump. Si parla di deplatoforming perché censura è un termine che descrive altre cose, come la negazione della libertà di espressione – poco applicabile a Trump che può alzare il telefono e parlare in diretta tv nazionale quando vuole. In sintesi: per anni i social hanno promosso il contenuto complottista e falso perché creava dipendenza e un volume di traffico drogato in modo artificiale, fino a quando non si sono resi conto di quello che avevano fatto e hanno adottato dei correttivi, prima timidi e poi più incisivi. 

 

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Questo vale per le piattaforme che in qualche modo hanno deciso di moderare il contenuto, perché ci sono altre piattaforme che trasmettono contenuti dello Stato islamico e di QAnon. Non è questione di riuscire a trovare, è questione di quanti minuti di sforzi vuoi investire. 

 

In questa trasformazione dei social ci sono state due tappe importanti. La prima è che in questi anni le aziende negavano di poter fare con i contenuti di estrema destra e complottisti le stesse cose fatte per neutralizzare la presenza dello Stato islamico dal 2014 in poi. E’ impossibile, dicevano. Così avevano risposto anche dopo la strage di Pittsburgh dell’ottobre 2018, quando un estremista armato di fucile era entrato in una sinagoga e aveva ucciso undici ebrei. Ma dopo i massacri successivi, come quello di Christchurch – trasmesso in diretta dallo stragista su Facebook – o di El Paso le aziende che prima dicevano “impossibile”, spiega Singer, hanno ammesso che era possibile e si sono regolate di conseguenza. Il contenuto estremista può essere silenziato anche se non è jihadista. La seconda tappa è che le aziende hanno realizzato che non devono vietare ogni singolo pezzo di contenuto pericoloso dalla piattaforma, ma devono neutralizzare i nodi che rilanciano quel contenuto e lo fanno diventare virale. Come nella pandemia, ci sono dei superspreader social capaci di raccogliere una bugia insignificante e trasmetterla senza controllo a centinaia di migliaia o milioni di persone. E il superspreader più efficiente di tutti era Donald Trump, dice Singer, che per le sue ricerche ha studiato i 57mila tweet del presidente uscente a partire dal primo del 4 maggio 2009 nel quale annunciava la sua partecipazione allo show di David Letterman quella sera. 

 

Il risultato di queste trasformazioni nel corso degli anni è che le piattaforme social si stanno con lentezza avvicinando a far rispettare davvero i loro termini di servizio, quelli accettati da tutti gli utenti come requisito di ingresso. 

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