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Nuove regole, ma Trump non torna su Facebook, dice lady Sandberg

Luciana Grosso

L’intervento a Reuters next della numero due del Social network

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“Nessuno, nemmeno il presidente degli Stati Uniti, è al di sopra della nostra policy”, ha detto Sheryl Sandberg, numero due (o numero uno effettivo, come dicono alcuni) di Facebook che, a meno di una settimana dai disordini di Washington e a meno di una settimana dall’espulsione di Donald Trump da Facebook e Twitter, appare in pubblico all’evento #ReutersNext per rispondere alle domande che ronzano nella testa di tutti da giorni: “Può un’azienda privata zittire il presidente degli Stati Uniti?”; “può un’azienda privata decidere chi può parlare e chi no?”; e se sì, “perché gli estremisti non sono stati zittiti prima?”.

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“Nessuno, nemmeno il presidente degli Stati Uniti, è al di sopra della nostra policy”, ha detto Sheryl Sandberg, numero due (o numero uno effettivo, come dicono alcuni) di Facebook che, a meno di una settimana dai disordini di Washington e a meno di una settimana dall’espulsione di Donald Trump da Facebook e Twitter, appare in pubblico all’evento #ReutersNext per rispondere alle domande che ronzano nella testa di tutti da giorni: “Può un’azienda privata zittire il presidente degli Stati Uniti?”; “può un’azienda privata decidere chi può parlare e chi no?”; e se sì, “perché gli estremisti non sono stati zittiti prima?”.

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“In realtà – risponde Sandberg – lo abbiamo fatto e molto. Negli ultimi anni e mesi abbiamo bloccato tutti i gruppi che abbiamo trovato e che facevano riferimento a QAnon, ai Proud Boys, o a #stopthesteal. E la ragione per cui lo abbiamo fatto è che incitavano alla violenza e la nostra policy è molto chiara in merito: nessuno può pubblicare contenuti che incitano o portino alla violenza. Nessuno. Nemmeno il presidente degli Stati Uniti può farlo”. Eppure i solerti vigili di Facebook non sono stati poi così solerti, visto che lì proliferano teorie del complotto, fake news e incitazioni alla rivolta: “Siamo consapevoli – ammette Sandberg – che è stato tutto organizzato online e siamo anche consapevoli del fatto che, anche se abbiamo chiuso e bloccato tutto quello che abbiamo trovato, ci sono ancora contenuti che parlano di odio. Ma abbiamo anche motivo di credere che la maggior parte delle violenze del Campidoglio non sia stata organizzata sulla nostra piattaforma, ma su social che non hanno i nostri standard e la nostra capacità di reazione”.

 

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Negli ambienti del trumpismo più duro i social che vanno più di moda sono Parler o tossici forum di 8Kun. Non solo: “Nel 2016 non avevamo idea di cosa stesse succedendo, non sapevamo cosa fosse un’interferenza elettorale di così ampia scala. Non l’avevamo vista arrivare. Ora nel 2020, sappiamo molte più cose di quante ne sapessimo nel 2016 e abbiamo policy e sistemi di sicurezza che non avevamo e che stanno dando risultati, non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo, dove, ogni anno, si tengono centinaia di elezioni”. Ma, al di là di quel che è stato fatto sin qui, c’è un punto ancora più importante e cruciale, ossia quel che si farà da qui in poi. La chiusura dell’account di Trump indica, evidentemente, un punto di non ritorno. Ma ancora non si sa di non ritorno da dove: da un mondo in cui il boccino di quel che si può dire o non dire sta nelle mani di aziende private? Oppure in cui spetta a stati e governi dire alle aziende private cosa possono o non possono consentire nei loro spazi?

 

Solo lo scorso maggio Mark Zuckerberg ha detto che non spetta a Facebook fare da “arbitro della verità”. Ma se non gli spetta questo ruolo, come può spettargli quello di arbitro della legittimità di parola? “La gran parte delle leggi che governano internet è stata scritta più di venticinque anni fa. Noi pensiamo che internet abbia bisogno di regole nuove. Non solo sulla libertà di parola ma in molti altri settori. Abbiamo detto più volte che non solo siamo pronti a prendere parte al processo legislativo ma che lo chiediamo: chiediamo nuove regole. Ci servono e siamo più che disponibili a lavorare con la nuova Amministrazione di Joe Biden e con chiunque nel mondo. Ma in questo momento – e con questa vacatio legis – la nostra responsabilità è di assicurarci che i servizi della nostra azienda non siano usati per scopi esecrabili. Abbiamo il dovere di evitarlo. E anche se ci siamo presi un’enorme responsabilità sospendendo l’account di Trump, non vedo come avremmo potuto non farlo”. Infine un’ultima domanda, a proposito di futuro: dopo il 20 gennaio, Facebook prevede di togliere il ban a Trump: “Non abbiamo nessun piano in merito”.

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