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La prima dose per tutti

Mozione Blair

Le raccomandazioni tecnico-politiche dell’ex premier britannico per accelerare di brutto la campagna di vaccinazione

Paola Peduzzi

Il Tony Blair Institute ha pubblicato uno studio che traduce in termini tecnici l’intuizione: la cosiddetta strategia “first dose to many”. Nell’introduzione si legge chiaro: “Il governo ha fatto sua questa raccomandazione”, e così i blairiani fanno un passo ulteriore, altre “raccomandazioni per accelerare fortemente il programma di vaccinazione”

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Quando Tony Blair, ex premier britannico con un’idea su tutto, aveva scritto sull’Independent a dicembre che per far funzionare la campagna di vaccinazione era necessario andare molto veloci e in massa sulla prima dose, era scoppiato il putiferio. C’entra il poco amore nei confronti di Blair che è una costante nel Regno Unito, ma c’entra anche il fatto della competenza: pure i commentatori meno ostili nei confronti dell’ex premier (qualcuno c’è) dicevano che nella smania di voler avere un posizionamento o un trampolino a tutti i costi, Blair si era avventurato in un terreno non suo e quindi non poteva che sbagliarsi. Per di più allora, la questione del giorno non erano le dosi quanto piuttosto il fatto che gli inglesi a un passo dalla Brexit si fossero presi per primi (hanno regole di certificazione meno stringenti rispetto a quelle europee) il vaccino europeo. Qui sul continente gli “exitari” si agitavano: vedete, gli inglesi sì che hanno capito tutto (solitamente gli exitari sono anche quelli che non si vogliono vaccinare, ma guai a sprecare una polemica per un pochino di coerenza), mentre sull’isola il secchione-visionario Blair faceva un paio di calcoli. Il risultato a lui appariva evidente: bisognava dilatare i tempi della seconda dose e impegnarsi a somministrare la prima dose a più gente possibile in modo da poter iniziare a introdurre un livello di immunizzazione utile per poter ricominciare a parlare di pseudonormalità.

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Quando Tony Blair, ex premier britannico con un’idea su tutto, aveva scritto sull’Independent a dicembre che per far funzionare la campagna di vaccinazione era necessario andare molto veloci e in massa sulla prima dose, era scoppiato il putiferio. C’entra il poco amore nei confronti di Blair che è una costante nel Regno Unito, ma c’entra anche il fatto della competenza: pure i commentatori meno ostili nei confronti dell’ex premier (qualcuno c’è) dicevano che nella smania di voler avere un posizionamento o un trampolino a tutti i costi, Blair si era avventurato in un terreno non suo e quindi non poteva che sbagliarsi. Per di più allora, la questione del giorno non erano le dosi quanto piuttosto il fatto che gli inglesi a un passo dalla Brexit si fossero presi per primi (hanno regole di certificazione meno stringenti rispetto a quelle europee) il vaccino europeo. Qui sul continente gli “exitari” si agitavano: vedete, gli inglesi sì che hanno capito tutto (solitamente gli exitari sono anche quelli che non si vogliono vaccinare, ma guai a sprecare una polemica per un pochino di coerenza), mentre sull’isola il secchione-visionario Blair faceva un paio di calcoli. Il risultato a lui appariva evidente: bisognava dilatare i tempi della seconda dose e impegnarsi a somministrare la prima dose a più gente possibile in modo da poter iniziare a introdurre un livello di immunizzazione utile per poter ricominciare a parlare di pseudonormalità.

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Qualche settimana dopo, con il picco storico di 60.916 nuovi casi confermati ieri, la mozione Blair è diventata realtà. Il Tony Blair Institute ha pubblicato uno studio che traduce in termini tecnici l’intuizione: la cosiddetta strategia “first dose to many”. Nell’introduzione si legge chiaro: “Il governo ha fatto sua questa raccomandazione”, e così i blairiani fanno un passo ulteriore, altre “raccomandazioni per accelerare fortemente il programma di vaccinazione”.

 

Secondo lo studio, il governo deve arrivare entro gennaio a tre milioni di vaccinazioni a settimana (parlando a Times Radio domenica, Blair aveva detto cinque milioni) facendo un piano chiaro che sappia anche contemplare le aspettative delle persone: quante dosi per quando e per chi (c’è anche uno schemino allegato). I luoghi delle vaccinazioni poi devono essere ampliati e subito: farmacie, “stazioni” create ad hoc (e a basso impatto ambientale), uffici vuoti perché i dipendenti sono in smartworking, ogni spazio disponibile deve essere convertito. Il personale sanitario deve essere aumentato almeno di 30 mila unità, ma ci deve essere un “manuale” chiaro per volontari, paramedici, tirocinanti in modo che gli orari di vaccinazione tendano alle 24 ore su 24 sette giorni su sette (come fa Israele). Ci sono poi altri due suggerimenti: il Covid pass, il certificato di vaccinazione digitalizzato che è utile per tornare alla normalità ma anche per valutare come progredisce l’immunizzazione; non lasciare i più giovani in fondo, perché le categorie produttive devono essere messe nella condizione di tornare a produrre a ritmo pieno il prima possibile. Secondo Blair, che già a dicembre aveva introdotto l’argomento, bisogna agire in contemporanea su due fronti: quello della mortalità, e quindi si vaccinano le persone più anziane che corrono in questo senso i rischi maggiori; quello del contagio e allora bisogna classificare gli “spreader”, contemplando quindi anche gli studenti.

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La strategia della prima dose a molti è stata inizialmente accolta male ma piano piano, nonostante i dubbi di molti scienziati, sta prendendo piede, mentre in Inghilterra si attende con ansia il vaccino Johnson&Johnson che secondo i test necessita soltanto di una dose. Blair pensa che non ci sarà scarsità di vaccini perché i produttori stanno cercando di adattarsi alla domanda: il problema al momento è la somministrazione, su questo devono lavorare i governi altrimenti non c’è alternativa al lockdown severo già introdotto nel Regno. La chiarezza dell’ex premier è stata tanto sorprendente che persino Nigel Farage ha detto: facciamo Blair zar anti Covid. Sarà un bacio della morte, ma “l’exiter” più falco che c’è che promuove l’europeista laburista più visionario che c’è è, per una volta, un bel vedere.
 

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