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Così i media americani stremati dal trumpismo s’agghindano per la nuova stagione

Punchbowl e le altre operazioni giornalistiche

Luciana Grosso

Dal 20 gennaio ci sarà un nuovo presidente: cosa faranno i giornali del mondo post Trump? Occorrerà trovare nuovi modi e nuovi toni per raccontare la politica. Servono lentezza, nervi saldi e mente fredda. La sfida di un nuovo progetto e la scelta per i colossi dell'informazione

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Presidente che vai, giornalismo che trovi. Nel 2008 buona parte della stampa americana si innamorò di Barack Obama e dei suoi agili tiri da tre. Poi, otto anni dopo, la stessa stampa si divertì a creare un caso, laddove un caso non c’era, ossia nella casella mail di Hillary Clinton, convinti, come tutti, che Donald Trump non avrebbe mai vinto. Poi invece (anche per effetto dei solerti articoli sul Mailgate) Trump ha vinto e, con la sua presidenza, ha fatto cambiare un sacco di cose, incluse le regole del giornalismo. Per quattro anni, con i suoi toni, i suoi modi, le sue bugie, Trump è stato un pifferaio magico capace di fare in modo che, in America, non si parlasse di altri che di lui. Per quattro anni, l’agenda di giornali e giornalisti è stata dettata e occupata dal solo Trump, dalle sue bugie e stramberie e intemerate su Twitter.

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Presidente che vai, giornalismo che trovi. Nel 2008 buona parte della stampa americana si innamorò di Barack Obama e dei suoi agili tiri da tre. Poi, otto anni dopo, la stessa stampa si divertì a creare un caso, laddove un caso non c’era, ossia nella casella mail di Hillary Clinton, convinti, come tutti, che Donald Trump non avrebbe mai vinto. Poi invece (anche per effetto dei solerti articoli sul Mailgate) Trump ha vinto e, con la sua presidenza, ha fatto cambiare un sacco di cose, incluse le regole del giornalismo. Per quattro anni, con i suoi toni, i suoi modi, le sue bugie, Trump è stato un pifferaio magico capace di fare in modo che, in America, non si parlasse di altri che di lui. Per quattro anni, l’agenda di giornali e giornalisti è stata dettata e occupata dal solo Trump, dalle sue bugie e stramberie e intemerate su Twitter.

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Ma quando, dal 20 gennaio, ci sarà un nuovo presidente, il giornalismo dovrà trovare nuovi modi e nuovi toni per raccontare la politica. Una politica che, a sua volta, sarà nuova e conosciuta, perché sarà quella di una presidenza non trumpiana in un mondo intriso di trumpismo; una presidenza che vuole unire e guarire, ma che opererà in un mondo quanto mai polarizzato e diviso e in cui un tweet di un Pinco Pallino qualsiasi che dice che la pandemia non esiste vale più (o almeno quanto) l’evidenza stessa della pandemia. 

  
E allora, dal 20 gennaio in poi, cosa faranno i giornali del mondo post Trump? Come faranno gli stessi giornalisti che hanno fatto, per anni, la guerra alla presidenza Trump a fare le pulci, come il loro implicito giuramento di Ippocrate prevede e impone, con lo stesso rigore alla presidenza Biden? Con quale credibilità le superstar del giornalismo politico antitrumpiano (come Olivia Nuzzi di New York Magazine o Jim Acosta di Cnn) riusciranno a tirare il freno a mano e a ripulire il loro racconto? E poi, cosa sceglieranno di fare direttori ed editori? Vorranno soffiare sul fuoco della polarizzazione, andando avanti come se niente fosse oppure vorranno cambiare registro, rischiando l’effetto soporifero?

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La questione non è un mero esercizio retorico per addetti ai lavori, ma un punto cruciale del dibattito dei prossimi anni. Una risposta hanno provato a darla tre giornalisti superstar della cronaca politica americana, John Bresnahan, Anna Palmer e Jake Sherman, ex firme di punta di Politico e ora fondatori di un nuovo progetto (a pagamento, circa 300 dollari all’anno) che si chiama Punchbowl, dal nome in codice che usano gli agenti di sicurezza del secret service per riferirsi al Campidoglio. Il senso della nuova impresa giornalistica è uguale e contraria a quello che spinse i fondatori di Politico nel 2007: a quell’epoca la cronaca politica andava svecchiata, velocizzata, resa pop. Ora, invece, servono lentezza, nervi saldi e mente fredda. Per questo Punchbowl, tanto per cominciare, non sarà né un giornale né un sito di notizie, ma si baserà su newsletter e podcast, evitando di inseguire scoop che valgono poche ore e che servono solo a infiammare gli animi per privilegiare un approfondimento più lento e ragionato.

    
E tutti gli altri? Quelli che non si faranno un loro giornale, ma che continueranno a lavorare per i colossi come Cnn o New York Times, che faranno? 

  
A loro toccherà il compito di fare una scelta: tenere Trump al centro della scena (cosa che lui tenterà in ogni modo di fare) o trattarlo da comune cittadino? Aiutare Biden nella sua impresa di rammendo o sabotarne il lavoro, alimentando remunerative divisioni e polemiche? Perché questa seconda strada sia seriamente percorribile occorrono due cose. La prima: verità evidenti e condivise. La seconda, per quanto suoni prosaico, è: soldi. Il perché, piuttosto evidente, lo ha spiegato il giornalista e docente di Yale Walter Shapiro a Nieman Report: “Un giornale, per essere un’istituzione affidabile, deve diventare un’istituzione economicamente sicura”. Senza autonomia economica, non c’è terzietà che tenga. 
 

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