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Tour europeo sui vaccini

La propaganda di Orbán, l'idea di ritardare la seconda dose e la "coronaskam", un modo di vergognarsi tutto svedese

Micol Flammini

Prime Danimarca e Germania, le altre nazioni vanno a rilento e c'è anche chi deve ancora incominciare

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Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, dopo aver a lungo snobbato il vaccino contro il Covid-19 dell’azienda Pfizer-BioNTech, si è ricreduto, e lo ha fatto per due ragioni. La prima è che riconoscendone l’importanza può dare all’Ue tutte le colpe sui ritardi della campagna di vaccinazione in Ungheria,  che procede  in modo poco chiaro. La seconda ragione è che quel vaccino ha una vena ungherese.

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Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, dopo aver a lungo snobbato il vaccino contro il Covid-19 dell’azienda Pfizer-BioNTech, si è ricreduto, e lo ha fatto per due ragioni. La prima è che riconoscendone l’importanza può dare all’Ue tutte le colpe sui ritardi della campagna di vaccinazione in Ungheria,  che procede  in modo poco chiaro. La seconda ragione è che quel vaccino ha una vena ungherese.

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In un’intervista radiofonica rilasciata prima di Natale, Orbán aveva detto che l’Ungheria avrebbe potuto evitare una terza ondata, ma che tutto sarebbe dipeso da Bruxelles. Dopo aver sminuito i vaccini acquistati dall’Ue e aver preferito comprare lo Sputnik V dalla Russia, il governo di Budapest ha deciso che il contenimento della pandemia dipende tutto dal numero di dosi che il paese riceverà per vaccinare i suoi cittadini e, secondo il premier,  l’Ungheria non ha alcun controllo su questo: la responsabilità è dell’Ue. L’Europa si è impegnata a distribuire le dosi, ma poi ogni paese ha organizzato in autonomia le campagne vaccinali, e non tutti con la stessa abilità. In Ungheria la vaccinazione va a rilento e Orbán ha deciso di attaccare Bruxelles e di dire che sta  trattando per il vaccino cinese. Riguardo alla vena ungherese, Orbán si è accorto molto tardi che per la creazione del vaccino sono stati fondamentali gli studi di Katalin Karikó  – biochimica ungherese che lavora da sette anni per BioNTech – sull’Rna messaggero. “Tutti usano quella parola complicata da pronunciare, Pfizer – ha detto il premier – ma in realtà è un vaccino  ungherese”. Orbán ha detto di essere orgoglioso della scienziata e ha esortato i suoi concittadini a fare altrettanto, ma la Karikó, scappata dall’Ungheria durante il comunismo, ha detto che se fosse rimasta nel suo paese non le sarebbe stato possibile portare avanti i suoi studi. Il premier usa il vaccino per la sua propaganda, gli serve sia per ragioni nazionaliste sia euroscettiche: se la campagna vaccinale non va come dovrebbe – finora il numero di dosi somministrate pro capite è di 0,05 per cento – il premier vuole addossare le responsabilità sull’Unione europea. L’Ue non ha fatto calcoli arbitrari per le dosi che vengono distribuite ai paesi membri a seconda delle dimensioni della popolazione, tutti  hanno ricevuto il materiale per le prime iniezioni eppure ovunque la campagna attesa da quasi un anno presenta dei problemi. Come se tutti avessero aspettato questo momento e fossero stati più impegnati a parlarne che ad agire. Eppure l’Ue si era raccomandata: a comprare le dosi ci pensiamo noi, agli stati membri spetta organizzarsi. Euronews ha raccolto un po’ di dati, dai quali  viene fuori che ci sono due paesi eccellenti, mentre gli altri cercano di recuperare il ritardo accumulato.  

 
Le prime dosi i tutta l’Europa sono state consegnate il 26 dicembre e finora è la Danimarca il paese con il tasso più alto di vaccinazioni, ogni cento persone 0,78 hanno ricevuto la prima dose. Secondo i dati diffusi dal governo, il 2 gennaio 45.800 danesi su 5,8 milioni erano stati vaccinati. Copenaghen era stata tra i primi a uscire dal lockdown in primavera  riaprendo anche le scuole, prima di tutti, e adesso detiene anche il primato in Europa sul ritmo con cui procede la campagna vaccinale. La Germania invece è il paese che ha somministrato più dosi di vaccino in assoluto, anche se il numero di iniezioni pro capite non è altissimo: 0,23 per cento. Ma Berlino, il primo gennaio, aveva già fatto 188.500 vaccinazioni. A unire Germania e Danimarca non è soltanto la campagna efficiente: secondo Reuters i due paesi starebbero prendendo in considerazione anche l’idea di ritardare la seconda dose di vaccino, in modo da  distribuire la prima immunizzazione a un numero maggiore di persone. Gli specialisti sono al lavoro, finora soltanto la Gran Bretagna ha optato per questo approccio, bocciato invece da Pfizer. 

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Croazia, Portogallo, Italia e Polonia hanno dei tassi di vaccinazione simili, che vanno dal 0,19 allo 0,13 per cento, mentre dietro seguono Bulgaria, Romania e Austria, seguite dall’Estonia, la Grecia e anche la Finlandia che ha quasi lanciato un’accusa orbaniana all’Unione europea. La Francia finora è la più lenta, mentre alcuni paesi, come la Svezia dove il tasso dei cittadini che ha detto di essere scettico nei confronti di questo vaccino è abbastanza alto e dove la flygskam (la vergogna di prendere un aereo in epoca di battaglie ambientaliste) è stata sostituita dalla  coronaskam (la vergogna per la gestione controtendenza della pandemia), non hanno ancora pubblicato i primi risultati della campagna. C’è chi invece, come l’Olanda, non ha neppure cominciato e ha rimandato il via della campagna vaccinale all’8 gennaio. 

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