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Fuori come sarà - 2021

La corsa solitaria di Marine Le Pen

Il fantasma della terza sconfitta, il peso del cognome, la rivalità con la nipote Marion Maréchal e la fiducia in Jordan Bardella. Intervista a Camille Vigogne dell’Express

Mauro Zanon

La leader del Rassemblement national è stata la prima a ufficializzare la sua candidatura per le prossime presidenziali in Francia. Questa volta vuole convincere anche chi la ritiene "radioattiva". Negli ultimi tempi ha fatto parlare poco di sé, ma non è scomparsa, si sta solo abituando a smussare i toni

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Manca un anno e mezzo alle presidenziali francesi del 2022, ma Marine Le Pen, guida del Rassemblement national (Rn), è già in piena campagna. La leader sovranista, che tutti i sondaggi danno come finalista, nuovamente, contro Emmanuel Macron, è stata la prima a ufficializzare la sua candidatura. Lo ha fatto a gennaio, con largo anticipo su tutti, strozzando le ambizioni di chi, nella stessa area politica, stava pensando all’Eliseo. “Sarò al servizio dei francesi fino a quando avranno bisogno di me e fino a quando riuscirò a radunare il maggior numero di elettori possibile attorno al progetto che il Rn difende. Se domani ci sarà un candidato capace di allargare ancor di più questo bacino elettorale, non avrò difficoltà a cedergli il posto”, ha detto al Foglio a inizio novembre. 

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Manca un anno e mezzo alle presidenziali francesi del 2022, ma Marine Le Pen, guida del Rassemblement national (Rn), è già in piena campagna. La leader sovranista, che tutti i sondaggi danno come finalista, nuovamente, contro Emmanuel Macron, è stata la prima a ufficializzare la sua candidatura. Lo ha fatto a gennaio, con largo anticipo su tutti, strozzando le ambizioni di chi, nella stessa area politica, stava pensando all’Eliseo. “Sarò al servizio dei francesi fino a quando avranno bisogno di me e fino a quando riuscirò a radunare il maggior numero di elettori possibile attorno al progetto che il Rn difende. Se domani ci sarà un candidato capace di allargare ancor di più questo bacino elettorale, non avrò difficoltà a cedergli il posto”, ha detto al Foglio a inizio novembre. 

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Si stratta della terza candidatura da quando ha assunto il controllo del partito fondato dal padre, Jean-Marie Le Pen. E potrebbe essere l’ultima, dato che i suoi elettori difficilmente accetterebbero il suo volto al vertice dopo tre sconfitte consecutive. “Ma abbiamo imparato la lezione delle precedenti presidenziali”, assicura uno dei fedelissimi della Le Pen, in riferimento, in particolare, al dibattito catastrofico tra il primo e il secondo turno, quello che mostrò tutto le debolezze di Marine. Per una certa destra, quella che vota Les Républicains (Lr) turandosi il naso perché Macron, nonostante Darmanin, non può proprio votarlo, la Le Pen è ancora “radioattiva”, infrequentabile, ha un cognome impronunciabile e una storia troppo ingombrante. La capitana del Rn lo sa bene e infatti da diverse settimane ha iniziato a smussare i toni, addolcendo le abituali ruvidità che tengono lontani gli indecisi della destra conservatrice. “Uno dei principali obiettivi di Marine Le Pen è acquisire un’immagine da presidenziabile che non ha ancora”, dice al Foglio Camille Vigogne Le Coat, giornalista politica dell’Express. “Negli ultimi tempi, è cambiato il suo modo di presentarsi e di parlare: nelle sue interviste usa toni misurati, non fa dérapages e non passa più il suo tempo a dire che Macron deve dimettersi. Vuole essere l’unica alternativa all’attuale inquilino dell’Eliseo, il capo dell’opposizione al macronismo”, spiega Camille Vigogne.

 

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Il 2021 sarà fondamentale per allargare le maglie del consenso, affinando una strategia di rassemblement che tre anni fa non aveva funzionato. “Non deve più essere l’ostaggio o la rappresentante esclusiva di un partito politico”, ha detto il suo entourage a Europe 1, confermando alcune indiscrezioni circolate a inizio autunno: subito dopo le elezioni regionali di giugno 2021, Marine potrebbe lasciare le redini del partito al suo delfino, il giovanissimo Jordan Bardella, per dedicarsi esclusivamente al progetto presidenziale. La scelta rientrerebbe nella volontà di presentarsi nel 2022 col supporto di una coalizione allargata, oltre il Rn, “ma non dal lato della destra agitata”, sottolinea un dirigente marinista. “È consapevole che il suo cognome suscita una certa paura, così come la suscita suo padre e la storia del Front national, oggi Rassemblement national. Si è resa conto che aver cambiato il nome del partito non è stato sufficiente”, dice al Foglio Camille Vigogne, prima di aggiungere: “Sta cercando di orientare il suo discorso verso il centro per allargare il bacino elettorale in vista delle prossime scadenze elettorali, ma non sarà facile radunare perché il cognome Le Pen pesa”. L’addolcimento del suo discorso non raccoglie consensi unanimi nemmeno all’interno del partito. Jean Messiha, enarca e superconsigliere della leader sovranista per le presidenziali del 2017, ha sbattuto la porta del partito a novembre accusando la Le Pen di aver assunto posizioni troppo “moderate”. Una partenza rumorosa, ma non sorprendente. “Il messaggio che la Le Pen ha fatto passare ai suoi quadri è: ‘Non radicalizzatevi’. Vuole che il Rn passi definitivamente da partito di ‘protestation’ a partito di ‘proposition’”, spiega Camille Vigogne. Il processo di normalizzazione è iniziato ai tempi di Florian Philippot, l’ex braccio destro oggi ai margini del dibattito politico, ma non ha ancora prodotto i frutti sperati.

 

E poi c’è l’annoso problema dell’“implantation locale”, del radicamento nel territorio. Alle ultime elezioni comunali, il Rn ha ottenuto risultati piuttosto modesti in tutta la Francia: tra le città medio-grandi, ha vinto solo a Perpignan (120mila abitanti), per il resto si è fermato un po’ ovunque al primo turno. “A parte Perpignan e alcune piccola città, il Rn non è riuscito a mettere radici nel territorio. Nel 2021, ci sono le elezioni dipartimentali e soprattutto le regionali. Le uniche speranze sono nella Regione Hauts-de-France e nella Regione Provence-Alpes-Côte d’Azur, storicamente ancorate a destra e dove Marine Le Pen e Marion Maréchal avevano ottenuto buoni risultati nel 2015. Ma anche lì la faccenda si annuncia assai complicata”, osserva Camille Vigogne, perché “la Le Pen è estremamente sola”. L’unico di cui si fida ciecamente è Jordan Bardella, originario della Seine-Saint-Denis e di origini italiane, che potrebbe essere il capolista nell’Île-de-France, la regione parigina. Per il resto, come sottolinea la giornalista dell’Express, “ci sono molti quadri dirigenziali, ma pochi di qualità”. E infatti la domanda che ci si fa spesso a Parigi è: ma con chi governerebbe Le Pen in caso di investitura all’Eliseo? Chi sarebbero i suoi ministri? La figlia di Jean-Marie Le Pen dice di non preoccuparsi, che loro, i potenziali ministri, lavorano “en cachette”, di nascosto. Dove? All’interno di un misterioso collettivo, “Les Horaces”, fondato nel 2016 e formato da alti funzionari, imprenditori, avvocati e intellettuali chiamati a riflettere su come portare il sovranismo al potere. “Dicono che si incontrano due volte a settimana, ma non abbiamo strumenti per verificare se è veramente così e soprattutto non sappiamo i nomi di chi partecipa a queste riunioni”, dice Camille Vigogne. Soltanto uno di loro ha rotto l’anonimato: Jean Messiha, che però ha già abbandonato Marine, perché il “talento straordinario” nella famiglia Le Pen ce l’ha solo Marion Maréchal.  

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