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Fuori come sarà - 2021

L'indipendenza pragmatica di Nicola Sturgeon

Per anni è stata il capo ufficioso dell’opposizione, si è rivelata molto più efficace, riconoscibile, solida, convincente e convinta di chi nel Regno Unito ha avuto ufficialmente quel ruolo

Guido De Franceschi

Una sconfitta alle elezi0ni di maggio non è un'ipotesi per la leader scozzese, poi dovrà ottenere un nuovo referendum, un'altra chance per lasciare il Regno Unito. Dal prossimo anno dipenderà la sua eredità, se sarà ricordata come una winner o una loser

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Il Labour alla fine ha cambiato capo, ma forse non ha comunque ancora ben capito che tipo di partito sia esattamente e che tipo di paese proponga agli elettori. E i liberaldemocratici, proprio quando c’era più bisogno di loro per dire una parola chiara in difesa dell’Europa, sono invece scivolati in modo apparentemente irreversibile nella categoria “non-pervenuti”. Per questo, negli ultimi anni, la vera leader dell’opposizione al governo conservatore del Regno Unito è stata senza dubbio la premier scozzese Nicola Sturgeon – sì Nicola è una donna e il suo nome lo si pronuncia con l’accento sulla “i”.  

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Il Labour alla fine ha cambiato capo, ma forse non ha comunque ancora ben capito che tipo di partito sia esattamente e che tipo di paese proponga agli elettori. E i liberaldemocratici, proprio quando c’era più bisogno di loro per dire una parola chiara in difesa dell’Europa, sono invece scivolati in modo apparentemente irreversibile nella categoria “non-pervenuti”. Per questo, negli ultimi anni, la vera leader dell’opposizione al governo conservatore del Regno Unito è stata senza dubbio la premier scozzese Nicola Sturgeon – sì Nicola è una donna e il suo nome lo si pronuncia con l’accento sulla “i”.  

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E se, come leader ufficiosa dell’opposizione, la Sturgeon si è rivelata molto più efficace, riconoscibile, solida, convincente e convinta (ad esempio per quanto riguarda la passione per l’Europa) di chi ha avuto ufficialmente quel ruolo, anche come capo del governo scozzese si è rivelata molto più efficace, solida e convincente del capo del governo nazionale Boris Johnson.

 

Quanto ondivago, spregiudicato, fuori dalle righe e incline all’improvvisazione e al colpo di genio (o, più spesso, al colpo di testa) è Boris, tanto prevedibile, moderata, istituzionale e incline alla progettualità e al consolidamento (o, più di rado, al braccio di ferro) è Nicola. Per la Sturgeon, che ha compiuto a luglio 50 anni, il 2021 sarà determinante perché nei prossimi mesi inizierà forse il suo ultimo ciclo politico, quello per il quale sarà ricordata  (come una winner o come una loser) in futuro. A maggio, ci saranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento scozzese e la premier le sta preparando come un referendum sul referendum. Infatti, lo Scottish national party, che la Sturgeon guida dal 2014, sta chiedendo un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito.

 

Quando, nel primo referendum, quello del 2014, i “no” alla secessione da Londra superarono i “sì” di una decina di punti percentuali, gli stessi promotori della consultazione ammisero che “per una generazione” non si sarebbe più affrontata la questione. Ma poi, nel 2016, è arrivato l’altro referendum, quello sulla Brexit, in cui il 53 per cento degli inglesi ha votato “Leave” e il 62 per cento degli scozzesi ha invece votato “Remain”. E questo ha cambiato tutto, ha spiegato la Sturgeon già all’indomani del voto sulla Brexit: il contesto è rivoluzionato, la Scozia non vuole rimanere fuori dall’Unione, a Glasgow e a Edimburgo e a Inverness sono ancora abbastanza innamorati di Bruxelles da non voler accettare il divorzio deciso più a Sud e ci sono quindi gli estremi per un nuovo referendum.

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Johnson esclude di concedere agli scozzesi un’altra chance per lasciare il Regno Unito, ma l’opinione pubblica scozzese preme e i sondaggi mostrano che il “sì” all’indipendenza non è mai stato così popolare. Per questo la Sturgeon è convinta che un trionfo alle elezioni scozzesi di maggio (il suo partito ha circa il 55 per cento nei sondaggi, un dato pazzesco dopo 13 anni consecutivi al governo) sia la piattaforma giusta per cominciare a pretendere, e questa volta ad altissima voce, un secondo voto sulla secessione da Londra.

 

Il voto di maggio potrebbe essere la prima battaglia dell’ultima guerra della Sturgeon, che ha già guidato la Scozia e lo Scottish national party per sei anni. Che non vinca le elezioni è un’ipotesi non prevista. Se le vincesse, ma poi non riuscisse a ottenere un nuovo referendum, alla fine della legislatura la premier potrebbe decidere di chiudere così, su una nota di amarezza, la sua avventura politica. Se invece riuscisse a ottenere un secondo referendum, ma poi lo perdesse, la Sturgeon sarebbe probabilmente costretta a dimettersi, come il suo predecessore Alex Salmond (dopo la sconfitta nel primo referendum) e come il premier David Cameron (dopo che il “Remain”, da lui sostenuto, uscì sconfitto dal voto sulla Brexit). Se invece la Sturgeon riuscisse nel triplete (e cioè se trionfasse alle elezioni di maggio, ottenesse il via libera di Londra per un secondo referendum e riuscisse poi a far prevalere nelle urne i “sì” all’indipendenza) allora avrebbe due opzioni: farsi da parte, nel ruolo di “madre della patria” o condurre anche l’impresa inedita del reingresso della Scozia nell’Unione europea. 

 

 

Ma qui siamo troppo in là con la fantasia e invece Nicola – pur avendo appassionati desideri di indipendenza e pur vagheggiando con trasporto emotivo un nuovo abbraccio con l’Europa – è un tipo concreto, che amministra e governa. Non tutto quello che fa funziona bene, ovviamente, e non riceve soltanto applausi, anche perché non ha paura di sfidare temi delicati su cui sa che si apriranno controversie ideologiche (ad esempio, nel 2021, la Scozia sarà il primo luogo del mondo in cui lo studio dei diritti e della storia della comunità lgbt entrerà nei curriculum scolastici). 

 

Gli elettori scozzesi, che nei sondaggi si dichiarano piuttosto soddisfatti perfino di come il governo locale ha affrontato la pandemia, promettono alla Sturgeon, sempre nei sondaggi, un grande successo nel voto di maggio. Il problema è che questo successo si trasformerebbe automaticamente nell’obbligo di ottenere qualcosa (anzi: molto) di più. E, se qualcosa dovesse andare storto (la richiesta di referendum o il referendum stesso), sarà costretta a lasciare la prima linea. “Non ho in programma di lasciare a breve, ma, quando smetterò di fare la premier, sarò ancora abbastanza giovane per fare altre cose”, ha detto la Sturgeon in un’intervista. “E questa cosa mi procura sollievo”, ha aggiunto.

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