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Fuori come sarà - 2021

Armin Laschet in caduta libera

La vittoria nella roccaforte socialdemocratica, il ritiro di Akk, il ticket con Spahn. Adesso anche l'outsider Norbert Röttgen sembra averlo scavalcato

Edoardo Toniolatti

Il ministro presidente del Nordreno-Vestfalia sembrava il candidato perfetto per guidare la Cdu e anche il più simile ad Angela Merkel. La pandemia però ha fatto venire fuori la differenza più grande: nelle crisi la cancelliera riesce a dare il meglio di sé, lui proprio no

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Un detto tedesco sostiene che "am raschesten verwelken Vorschusslorbeeren", gli allori prematuri appassiscono rapidamente. La frase ricorda un po’ il significato del nostro “Chi entra papa in conclave ne esce cardinale”, ed è perfetta per descrivere l’ultimo anno vissuto da Armin Laschet, ministro presidente del Nordreno-Vestfalia e candidato alla guida della Cdu. Quando lo scorso febbraio la leader dei conservatori, Annegret Kramp-Karrenbauer (detta AKK), aveva annunciato le sue dimissioni, tutti pensavano che fosse finalmente arrivato il turno di Friedrich Merz, l’anti-Merkel per eccellenza. Sconfitto alle primarie del 2018 dalla candidata preferita della Cancelliera, aveva comunque conquistato oltre il 48 per cento del voto dei delegati: un capitale politico di tutto rispetto, con cui porsi alla guida del fronte ormai stufo di quindici anni di merkelismo. Ma il merkelismo ha sette vite come i gatti: e archiviata l’infelice esperienza di AKK, il nuovo erede designato è diventato Armin Laschet. 

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Un detto tedesco sostiene che "am raschesten verwelken Vorschusslorbeeren", gli allori prematuri appassiscono rapidamente. La frase ricorda un po’ il significato del nostro “Chi entra papa in conclave ne esce cardinale”, ed è perfetta per descrivere l’ultimo anno vissuto da Armin Laschet, ministro presidente del Nordreno-Vestfalia e candidato alla guida della Cdu. Quando lo scorso febbraio la leader dei conservatori, Annegret Kramp-Karrenbauer (detta AKK), aveva annunciato le sue dimissioni, tutti pensavano che fosse finalmente arrivato il turno di Friedrich Merz, l’anti-Merkel per eccellenza. Sconfitto alle primarie del 2018 dalla candidata preferita della Cancelliera, aveva comunque conquistato oltre il 48 per cento del voto dei delegati: un capitale politico di tutto rispetto, con cui porsi alla guida del fronte ormai stufo di quindici anni di merkelismo. Ma il merkelismo ha sette vite come i gatti: e archiviata l’infelice esperienza di AKK, il nuovo erede designato è diventato Armin Laschet. 

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Politico navigato, Laschet ha accumulato esperienza a ogni livello. Membro del Bundestag dal 1994, nel 1998 trasloca al Parlamento europeo, per poi tornare nel 2005 nel suo Land natale, il Nordreno-Vestfalia, a occuparsi di donne, famiglia e integrazione nel governo locale. Sette anni dopo diventa capo della Cdu nella regione: un ruolo di grande rilevanza ma anche di notevole complessità. Di tutti e sedici i Länder, il Nordreno-Vestfalia è il più popoloso e quello più politicamente “pesante”: di solito è da queste parti che bisogna guardare per assistere a una preview di quello che succederà a livello nazionale. Guidare un partito qui significa assicurarsi un posto di importanza cruciale. Ma la regione è anche tradizionalmente un feudo socialdemocratico: siamo pur sempre nel bacino della Ruhr, terra di miniere e fabbriche, dove la Spd ha governato quasi ininterrottamente dal 1966 al 2017, se si esclude un breve interregno della Cdu fra il 2005 e il 2010. Non proprio l’habitat ideale, se si è alla guida dei conservatori. Eppure è in questo contesto che Laschet compie il suo capolavoro, nel 2017. Nel Land si vota a maggio, e tutti si aspettavano una riconferma della Ministerpräsidentin uscente, la socialdemocratica Hannelore Kraft. Una vittoria attesa che avrebbe dovuto sfruttare l’entusiasmo generato dal candidato alla Cancelleria, Martin Schulz, e a sua volta tirargli la volata decisiva in vista delle elezioni di settembre. Invece le cose prendono una piega imprevista: la Cdu riesce a spuntarla di pochissimo, meno di due punti percentuali, sufficienti però a consegnarle di nuovo la guida del Land. Un trionfo per Laschet, che forma una maggioranza di governo insieme ai liberali della Fdp - e una catastrofe per la Spd, anticipazione della batosta che arriverà qualche mese dopo alle politiche.

 

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Da quel momento Laschet diventa il nuovo Hoffnungsträger, il portatore di speranza dei conservatori, l’uomo che ha sconfitto i socialdemocratici nella loro roccaforte. E iniziano a circolare le voci che lo vedrebbero bene a raccogliere l’eredità della Cancelliera. D’altra parte Laschet è un fedele interprete del copione merkeliano. Anche lui è conservatore nei valori, tanto da votare contro il matrimonio egualitario, lo Ehe für alle, ma centrista in economia, sebbene forse un po’ più spostato sul fronte pro-business rispetto alla Cancelliera. Anche lui è un campione di moderazione in politica estera: sostiene la fondamentale importanza della difesa dei diritti umani, ma è favorevole alla normalizzazione dei rapporti economici con la Cina e non vede di buon occhio le sanzioni alla Russia. Anche lui ha difeso con forza la politica di accoglienza dei rifugiati inaugurata da Merkel con il suo celebre Wir schaffen das nell’estate del 2015. Anche lui, insomma, rappresenta la continuazione dello status quo, così come lo è stata Kramp-Karrenbauer pur nella sua breve fase al vertice. È la nuova incarnazione del fortunato slogan elettorale di Konrad Adenauer: Keine Experimente!, non mettiamoci in testa cose strane e andiamo avanti così - weiter so.

 

Rimasto in disparte alle primarie del 2018, il ritiro di AKK lo ha portato a vestire i panni del nuovo alfiere del merkelismo. E all’annuncio della sua candidatura alla guida del partito gli equilibri interni si sono profondamente riassestati: sembrava ormai arrivato il momento di Merz e del cambio di rotta, ma con la sua discesa in campo Laschet ha riaperto la partita alla grande. Solida esperienza amministrativa in un Land importantissimo, per di più tradizionale baluardo della Spd, continuità con i 15 anni di Merkel, notevole prestigio nel partito e buona popolarità fra gli elettori: cosa volere di più? Addirittura un bonus extra: Laschet annuncia la sua candidatura assoldando come vice Jens Spahn, giovane ministro della Salute ed ex-capofila degli antimerkeliani, anche lui sconfitto da AKK nel 2018. Un regalo per il fronte dei critici, e un ulteriore colpo per Merz. 

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Sembra davvero tutto perfetto.

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Solo che poi è arrivata la pandemia.

Ed è emersa una significativa differenza con Merkel. La Cancelliera sembra sempre dare il meglio di sé durante le crisi. Laschet proprio no, almeno a giudicare da come ha gestito l’ondata del coronavirus nel suo Land. Inizialmente sembrava non aver preso la faccenda molto sul serio. Aveva addirittura consentito il regolare svolgimento di grandi eventi come le partite di calcio o le popolarissime feste di Carnevale, rivelatesi presto dei superspreader. Le conseguenze: nel villaggio di Gangelt, vicino alla città natale di Laschet, Aachen (Aquisgrana), si registra a fine febbraio il primo hotspot tedesco. Vengono adottate misure per limitare i contagi, ma a giugno ecco un’altra tegola: il boom di infezioni nei mattatoi della ditta Tönnies, nella cittadina di Gütersloh. Laschet viene accusato non solo per aver chiuso un occhio sulle condizioni di lavoro negli stabilimenti, a detta di tutti gli osservatori ben oltre i limiti del tollerabile, ma anche per i suoi commenti razzisti al riguardo. Per lui i contagi sono colpa “di rumeni e bulgari”, arrivati per lavorare nei mattatoi, “ed è da loro che è partito il contagio”. Non ci sono dati che confermino questa ricostruzione, e l’unico effetto è far scendere ancora di più il gradimento di Laschet, ormai fra i Ministerpräsidenten meno apprezzati in quasi tutti i sondaggi.

 

 

Fra lockdown mirati e dichiarazioni discutibili, le chance di vincere la sfida per il vertice precipitano rovinosamente. La pandemia ha mostrato quanto sia importante una leadership in grado di gestire bene le crisi, e Laschet ha indubbiamente fallito il test. Tanto che nelle rilevazioni è all’ultimo posto fra i tre candidati alla guida dei conservatori, scavalcato anche da Norbert Röttgen, fin dall’inizio considerato un outsider senza reali speranze. Manca meno di un mese al Parteitag digitale che eleggerà la nuova guida della Cdu, previsto per il 16 gennaio. Difficile che Laschet riesca a invertire la rotta, nonostante il grande favore di cui gode invece il suo compagno di ticket Jens Spahn, la cui gestione della pandemia in qualità di ministro della Salute è stata piuttosto apprezzata dai tedeschi. Se le cose andranno come pare, e Laschet non sarà incoronato papa come sembrava a febbraio, ma resterà cardinale, è probabile che la fine del merkelismo sia più vicina di quanto pensiamo.

 

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