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Putin vs Parenzo

Giuliano Ferrara

Lo strongman del Cremlino si è fatto gabbare da una telefonata stile “La Zanzara”.  Sic transit gloria mundi

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Dietro di lui ci sono Lenin e Stalin, fino a Andropov, suo maestro, passando per molti altri. Si è rifatto i tratti del volto ringiovanendosi, e questo non sta bene per un tiranno come si deve, però è pur sempre un uomo temibile. E’ un maestro di judo, tra l’altro. E un grande uomo di stato, checché si voglia pensare dei suoi metodi e della cleptocrazia che lo riguarda e lo circonda. Ma Putin non è solo la storia del comunismo, soggiaciuto alla “più grande catastrofe geopolitica del secolo”, sono sue parole dopo il crollo del Muro di Berlino. E’ un modello, lo strongman, l’uomo forte, amato e rispettato nel mondo come critico della democrazia liberale, come costruttore di una mentalità plebiscitaria, semidemocratica, decisamente illiberale. Un accentratore. Un tipo che ha ridato identità e senso alla classe media, fino a prima di lui inesistente, in un paese sempre vissuto nella mistica della povertà e dell’aristocrazia di stato, dallo zar alle nomenclature sovietiche. 
       

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Dietro di lui ci sono Lenin e Stalin, fino a Andropov, suo maestro, passando per molti altri. Si è rifatto i tratti del volto ringiovanendosi, e questo non sta bene per un tiranno come si deve, però è pur sempre un uomo temibile. E’ un maestro di judo, tra l’altro. E un grande uomo di stato, checché si voglia pensare dei suoi metodi e della cleptocrazia che lo riguarda e lo circonda. Ma Putin non è solo la storia del comunismo, soggiaciuto alla “più grande catastrofe geopolitica del secolo”, sono sue parole dopo il crollo del Muro di Berlino. E’ un modello, lo strongman, l’uomo forte, amato e rispettato nel mondo come critico della democrazia liberale, come costruttore di una mentalità plebiscitaria, semidemocratica, decisamente illiberale. Un accentratore. Un tipo che ha ridato identità e senso alla classe media, fino a prima di lui inesistente, in un paese sempre vissuto nella mistica della povertà e dell’aristocrazia di stato, dallo zar alle nomenclature sovietiche. 
       

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E’ un potente ideologo. Critica l’occidente, la sua deriva nei costumi e nelle leggi che li regolano, invia in giro per il mondo grandi direttori d’orchestra e cantanti sublimi a illustrare le gioie poco frivole di un modo di vita che non prevede trasgressioni. Un alleato inconcusso della gerarchia ortodossa del patriarcato di Mosca, quello duro e puro, non certo Costantinopoli o Istanbul, il buon Bartolomeo. Sa come si monta la panna della propaganda, sa come sorridere e soprattutto ghignare a fronte di telecamere, sa delineare il suo personaggio di parvenu della fine dell’èra eltsiniana, quando il comunismo fu definitivamente sradicato da un grande ubriacone, quando la ricostruzione patriottica si iniziò dopo il comunismo ma non senza i suoi metodi e la sua antropologia, l’homo sovieticus. E’ un intellettuale, a suo modo, e un pietroburghese o leningradese, della scelta élite del Kgb o Fsb, come volete chiamare i servizi segreti onnipotenti che governano la Russia a colpi di informazioni, cyberguerre e se del caso avvelenamenti di oppositori in patria e all’estero. 
       

Il mito di Putin, come il piano regolatore di Pietroburgo, ha la caratteristica di essere “interamente premeditato” (della città di Pietro il Grande questo dicevano Dostoevskij e Brodsky). Premeditato come un delitto, un grande delitto che non prevede castigo. Nel mondo occidentale è pieno di emuli e ammiratori, anche figurine piccine picciò hanno tentato di ispirarsi alla sua scuola di comunicazione e politica, almeno fino alle gioie del Papeete. In medio oriente è un trionfatore, da Teheran a Aleppo a Damasco, fino in Libia nel Maghreb. Ha rovesciato in Europa regole consolidate del diritto internazionale, preferisce il fatto al diritto, e ovviamente non è il solo, se è per questo. 
 

Tra l’altro è diventato per quattro anni il padrone, non della Casa Bianca o del Pentagono, se Dio vuole, ma dell’animus, della tendenza narcisistica, della scurrilità politica dell’americano più potente al mondo, quello a cui si permise di regalare uno sfottente pallone all’indomani dei Mondiali di Mosca. Ha colpito duro la sua nemica personale Hillary Clinton, quando fu il momento, e con metodi poco ortodossi di interferenza cibernetica. Insomma qui si parla di un gigante. Non proprio un gigante buono, come nelle favole e talvolta nella vita. Un gigante cattivo, della razza più terrificante, insidiosa, non un omuncolo maldestro bensì il suo contrario.

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Putin però non sapeva, mentre diceva tranquillo urbi et orbi che se avesse voluto far fuori Navalny non avrebbe sbagliato la mira, che da un rifugio segreto nella Germania in cui si è rifugiato ed è stato curato, l’oppositore gli aveva giocato un brutto tiro con i metodi di David Parenzo sperimentati nella radiofonia chiassosa della “Zanzara”, quando si spacciava al telefono per Grillo, Mattarella e Papa Francesco. Ho chiamato la Fonte assoluta, Daniele Raineri, per capire se a suo giudizio si debba pensare a un complotto geniale e tecnicamente molto sofisticato dei servizi occidentali, visto che non è facile fare un brutto tiro a Putin. Lui mi ha suggerito la via più semplice, quella del giornalismo investigativo, attivo fin dai tempi del caso Skripal, e messosi adesso in pool con la Cnn e lo Spiegel di Amburgo. Come che sia di ciò, per usare una circonlocuzione arcaica non priva di bellezza, sta di fatto che Parenzo-Navalny ha incastrato il suo sicario e gli ha fatto confessare, spacciandosi per un superiore e amico dei superiori, come gli avevano messo, a Navalny, il veleno militare nelle mutande e in altri vestiti mai pervenuti in occidente, con lo scopo esplicito, e si può escludere che il tiranno non ne sapesse niente, e se non ne abbia saputo niente è un povero quaquaraquà, di farlo fuori perché parla ossessivamente delle ruberie di Cremlino e gruppi amici. Solo la decisione del pilota di atterrare subito e chiedere i soccorsi ha evitato all’oppositore la sorte riservata a quelli come lui, ha aggiunto scusandosi il sicario. 

 

Si sta per celebrare con troppa enfasi il centenario della nascita del Pci, il vecchio Pci cosiddetto, che nacque in sintonia con la rivoluzione sovietica ai tempi di Lenin, e se ne descrivono non senza accenti di verità certe doti di organizzazione e selezione della classe dirigente, che gli permisero di essere alla fine un grande partito nazionale democratico e antifascista senza scollegarsi mai davvero dai cugini del Pcus e del Kgb. Si prosegua con prudenza, pensando al duetto Parenzo-Putin. Sic transit gloria mundi.

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