PUBBLICITÁ

Appunti dal mondo globalizzato

Due cargo italiani bloccati nella disputa tra Cina e Australia

Gli armatori cercano soluzioni convenienti, e la Farnesina pure. Ma quanto costa a Di Maio intercedere presso Pechino?

Giulia Pompili

La Mba Giovanni, bulk carrier della società Michele Bottiglieri Armatore, e la Antonella Lembo, di proprietà della Fertilia Spa, hanno un carico preziosissimo: carbone metallurgico australiano. Pechino boicotta i prodotti australiani, e l'Italia (come molti altri paesi) ci finisce in mezzo

PUBBLICITÁ

Ci sono almeno due navi battenti bandiera italiana bloccate da mesi davanti al porto internazionale di Huanghua, in Cina. Ufficialmente fanno parte del cospicuo numero di navi cargo che in tutto il mondo non riescono a sbarcare per via delle norme anti Covid. La realtà, nel porto di Huanghua, è un po’ più complicata. La Mba Giovanni, bulk carrier costruita nel 2010 della società Michele Bottiglieri Armatore, e la Antonella Lembo, nave di proprietà della Fertilia Spa, hanno un carico preziosissimo: carbone metallurgico australiano. Se lo scorso anno l’Australia ha esportato in Cina oltre 14 miliardi di dollari di carbone, quest’anno la guerra diplomatica tra i due paesi ha portato a un blocco de facto da parte di Pechino di molti asset australiani, tra cui il carbone. La pandemia c’entra poco, dunque, e tutto ha a che fare con il boicottaggio commerciale che la Cina usa per scopi diplomatici. E così anche il trasporto marittimo effettuato dall’Italia – uno degli esempi più convincenti della globalizzazione: le navi di un paese del Mediterraneo che trasportano carbone per due potenze dall’altra parte del mondo – ci finisce di mezzo. Tra le circa quaranta, cinquanta navi di tutte le nazionalità bloccate davanti al porto cinese ce ne sarebbero quattro italiane, ma finora si è parlato soprattutto delle due napoletane, la Mba Giovanni e la Antonella Lembo. Sono le due navi che hanno l’equipaggio a bordo da più tempo. Sulla Mba Giovanni, ferma da fine giugno in Cina, ci sono sei marittimi italiani e 13 filippini: alcuni di loro sono a bordo da più di un anno. Sulla Antonella Lembo, ferma da fine luglio, ci sono sette italiani e sedici filippini, qualcuno imbarcato da dieci mesi, ma che potrebbe dover aspettare altri due mesi per toccare terra. Il problema è soprattutto l’avvicendamento dell’equipaggio. E se l’aspetto umano di questa vicenda è certamente il più importante,  lo stallo diplomatico rischia di far andare avanti la vicenda ancora per mesi. 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Ci sono almeno due navi battenti bandiera italiana bloccate da mesi davanti al porto internazionale di Huanghua, in Cina. Ufficialmente fanno parte del cospicuo numero di navi cargo che in tutto il mondo non riescono a sbarcare per via delle norme anti Covid. La realtà, nel porto di Huanghua, è un po’ più complicata. La Mba Giovanni, bulk carrier costruita nel 2010 della società Michele Bottiglieri Armatore, e la Antonella Lembo, nave di proprietà della Fertilia Spa, hanno un carico preziosissimo: carbone metallurgico australiano. Se lo scorso anno l’Australia ha esportato in Cina oltre 14 miliardi di dollari di carbone, quest’anno la guerra diplomatica tra i due paesi ha portato a un blocco de facto da parte di Pechino di molti asset australiani, tra cui il carbone. La pandemia c’entra poco, dunque, e tutto ha a che fare con il boicottaggio commerciale che la Cina usa per scopi diplomatici. E così anche il trasporto marittimo effettuato dall’Italia – uno degli esempi più convincenti della globalizzazione: le navi di un paese del Mediterraneo che trasportano carbone per due potenze dall’altra parte del mondo – ci finisce di mezzo. Tra le circa quaranta, cinquanta navi di tutte le nazionalità bloccate davanti al porto cinese ce ne sarebbero quattro italiane, ma finora si è parlato soprattutto delle due napoletane, la Mba Giovanni e la Antonella Lembo. Sono le due navi che hanno l’equipaggio a bordo da più tempo. Sulla Mba Giovanni, ferma da fine giugno in Cina, ci sono sei marittimi italiani e 13 filippini: alcuni di loro sono a bordo da più di un anno. Sulla Antonella Lembo, ferma da fine luglio, ci sono sette italiani e sedici filippini, qualcuno imbarcato da dieci mesi, ma che potrebbe dover aspettare altri due mesi per toccare terra. Il problema è soprattutto l’avvicendamento dell’equipaggio. E se l’aspetto umano di questa vicenda è certamente il più importante,  lo stallo diplomatico rischia di far andare avanti la vicenda ancora per mesi. 


I sindaci delle città d’origine dei marittimi italiani bloccati in Cina si sono rivolti con accorati appelli alla Farnesina, che in effetti si è mossa. Ma facendo quello che è di sua competenza tecnico-giuridica, e non politica. In una dichiarazione pubblicata sul Mattino di Napoli, il ministero degli Esteri dice di aver “autorizzato sin dallo scorso 16 ottobre l’avvicendamento dei marittimi nel porto di Tianjin”, porto internazionale che si trova a sole 15 miglia nave dall’attuale posizione delle due navi. La Cina ha autorizzato lo sbarco con misure anti Covid da dieci porti, compreso  Tianjin, ma questo non garantisce l’arrivo del nuovo equipaggio, visto che la Cina è praticamente bloccata e rilascia visti con  parsimonia. Questa opzione costerebbe all’armatore circa due milioni di euro. Non solo. C’è un problema enorme legato alla responsabilità del cargo: spiega al Foglio l’armatore Angelo D’Amato, che possiede la Lembo, che il problema riguarda le autorizzazioni doganali, perché in questo genere di carichi l’armatore viene “noleggiato” da un noleggiatore, che a sua volta non è nemmeno il proprietario del carico. Se l’equipaggio dei cargo sbarcasse a Tianjin, ci sarebbero delle conseguenze legali, “perché di fatto è come se stessero rubando il carico”.  Violare gli ordini di consegna sarebbe responsabilità diretta del comandante della nave. Qual è la soluzione, allora? La politica internazionale e i rapporti diplomatici. Un cargo della Corea del sud e un altro  greco sarebbero  riusciti a sbarcare a Huanghua  grazie agli stretti rapporti politici con Pechino. “Non ci sto a passare per il ricco armatore che non vuole pagare o specula sulla vita dei marittimi”, dice D’Amato, “noi siamo pronti ad affrontare qualsiasi spesa, ma non possiamo mettere i nostri equipaggi in pericolo, e succederebbe, se ci spostassimo senza le autorizzazioni”. La firma della Via della Seta per ora ci ha dato un po’ di export di arance rosse siciliane, ma quand’è il momento di usarla per fare politica, forse Di Maio si riscopre atlantista. 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ