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Autoritarismi

La guerra della Cina ai giornalisti "pericolosi"

L'arresto di Haze Fan, cittadina cinese che lavora a Bloomberg, e la stretta di Pechino sulla libertà d'espressione e di stampa

Giulia Pompili

Negli ultimi mesi molti giornalisti sono stati fermati, minacciati, espulsi. Alcuni accusati di mettere in pericolo "la sicurezza nazionale". La stampa trasformata in elemento di propaganda

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“E' una questione interna alla Cina, nessun altro paese oppure organizzazione ha il diritto di interferire”. L'account ufficiale dell'ambasciata di Pechino in America ha diffuso ieri su WeChat, il social network cinese, un messaggio per commentare le reazioni della comunità internazionale all'ennesimo arresto in Cina che colpisce la stampa straniera. 

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“E' una questione interna alla Cina, nessun altro paese oppure organizzazione ha il diritto di interferire”. L'account ufficiale dell'ambasciata di Pechino in America ha diffuso ieri su WeChat, il social network cinese, un messaggio per commentare le reazioni della comunità internazionale all'ennesimo arresto in Cina che colpisce la stampa straniera. 

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Haze Fan, cittadina cinese e parte dello staff di Bloomberg News dell'ufficio di corrispondenza di Pechino, è stata arrestata dalle autorità perché avrebbe "messo in pericolo la sicurezza nazionale". Lunedì scorso la giornalista è stata vista uscire dal suo appartamento scortata da agenti in borghese. Dopo quattro giorni di assenza, la notizia del suo arresto è stata comunicata a Bloomberg dal governo cinese, ed è stata poi confermata anche dall'ambasciata cinese in America.

      

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Sabato l'Unione europea ha pubblicato una dichiarazione ufficiale nella quale si chiede il rilascio di “tutti gli arrestati e i detenuti in relazione alla loro attività giornalistica”.  Una presa di posizione, da parte di Bruxelles, particolarmente dura considerate le trattative ancora in corso per l'accordo sul commercio che dovrebbe chiudersi entro la fine dell'anno.

 

Il caso di Haze Fan, però, non poteva essere ignorato. Prima di entrare a Bloomberg nel 2017, Fan ha lavorato per la Cnbc, per Cbs News, Al Jazeera e Reuters: sempre come assistente, perché una normativa approvata di recente vieta ai cittadini cinesi di farsi assumere da media stranieri come reporter. Ma anche “gli assistenti dei giornalisti, i cittadini cinesi che lavorano come ricercatori e traduttori in agenzie di stampa straniere, affrontano regolarmente minacce anche contro i loro familiari, inviti o istruzioni per spiare i datori di lavoro e avvertimenti a 'ricordarsi di essere cinese'”, scriveva a ottobre l'ex corrispondente del Washington Post Keith B. Richburg sul sito dell'Australian strategic policy institute.

 

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Ad agosto era stata arrestata, con la stessa accusa di Haze Fan, la giornalista Cheng Lei, nota conduttrice tv con doppia nazionalità cinese e australiana, che lavorava alla tv di stato in inglese Cgtn. Il suo arresto aveva preceduto la rocambolesca fuga degli ultimi due corrispondenti australiani in Cina, Bill Birtles e Michael Smith, rispettivamente della Abc e dell’Australian Financial Review, evacuati perché entrambi, nei giorni precedenti, avevano ricevuto l’intimidatoria visita notturna degli agenti di sicurezza.

 

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E nelle stesse ore in cui usciva la notizia di Haze Fan, Jimmy Lai, fondatore del quotidiano Apple Daily, editore e tycoon di Hong Kong, tra i più celebri sostenitori della causa pro-autonomia, veniva formalmente accusato di collusione con forze straniere ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale. La vicenda l'ha raccontata per bene il New York Times, che l'ha unita non a caso a quella di Fan, proprio per spiegare quanto il Partito stia usando aggressivamente la fumosa legge sulla "sicurezza nazionale", nella Cina continentale e da poco applicata anche a Hong Kong, per diffondere paura e mandare un messaggio chiaro a chiunque si metta di traverso.  

 

Per i giornalisti stranieri in Cina, raccontare la Cina al di là di quello che la Cina vorrebbe che si dicesse di lei è sempre stata una sfida tutto sommato elegantemente tollerata. Poi però è successo qualcosa. L'arrivo di Xi Jinping ha cambiato tutto, e già da tempo la Cina reagisce alla stretta dell'America sui corrispondenti cinesi negli Stati Uniti usando i visti giornalistici come arma di negoziato (avevamo raccontato questa storia in un long form). 

 

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