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Un "no deal" sulla Brexit non è poi così distante

David Carretta

Una decisione deve essere presa entro venerdì e l'Ue non intende accettare “un accordo degradato"

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L'Unione europea è pronta a un “no deal” e a spingere il Regno Unito verso una “hard Brexit” l'1 gennaio 2021, per poi riprendere i negoziati su un accordo di libero scambio il prossimo anno con calma, senza la pressione del calendario e da una posizione ancora più forte per le ripercussioni di un'uscita britannica dal mercato unico e dall'unione doganale. Questo è il messaggio che è arrivato da diversi stati membri nella riunione di stamattina del Coreper, durante la quale il capo-negoziatore dell'Ue Michel Barnier ha aggiornato gli ambasciatori dei 27 sullo stato dei negoziati con la sua controparte britannica, David Frost. Il momento della verità è arrivato. Una decisione su “deal” o “no deal” deve essere presa entro venerdì. Barnier ha spiegato che “non ci siamo ancora” e di non essere in grado di dire “se ci sarà accordo oppure no”. Ma alcuni stati membri – Francia, Danimarca, Olanda e Belgio – ritengono che la Commissione sia pronta a fare troppe concessioni a Boris Johnson senza ottenere sufficienti contropartite. Il problema riguarda in primo luogo la pesca, ma anche il tema del “level playing field” (la parità di condizioni su aiuti di stato, tassazione e standard ambientali e sociali per evitare dumping nei confronti dell'Ue). I 27 sono d'accordo che “la sostanza dell'accordo conta più del calendario”, spiega al Foglio una fonte Ue: “Se i britannici non cedono, non avremo un deal il 31 dicembre e ci ritorneremo dopo”. L'Ue non intende accettare “un accordo degradato. Meglio continuare nel 2021 per un accordo di qualità”, conferma un diplomatico di uno stato membro: “un'uscita senza accordo sarà un piccolo choc ma evita conseguenze negative sul lungo periodo per l'Ue”.

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L'Unione europea è pronta a un “no deal” e a spingere il Regno Unito verso una “hard Brexit” l'1 gennaio 2021, per poi riprendere i negoziati su un accordo di libero scambio il prossimo anno con calma, senza la pressione del calendario e da una posizione ancora più forte per le ripercussioni di un'uscita britannica dal mercato unico e dall'unione doganale. Questo è il messaggio che è arrivato da diversi stati membri nella riunione di stamattina del Coreper, durante la quale il capo-negoziatore dell'Ue Michel Barnier ha aggiornato gli ambasciatori dei 27 sullo stato dei negoziati con la sua controparte britannica, David Frost. Il momento della verità è arrivato. Una decisione su “deal” o “no deal” deve essere presa entro venerdì. Barnier ha spiegato che “non ci siamo ancora” e di non essere in grado di dire “se ci sarà accordo oppure no”. Ma alcuni stati membri – Francia, Danimarca, Olanda e Belgio – ritengono che la Commissione sia pronta a fare troppe concessioni a Boris Johnson senza ottenere sufficienti contropartite. Il problema riguarda in primo luogo la pesca, ma anche il tema del “level playing field” (la parità di condizioni su aiuti di stato, tassazione e standard ambientali e sociali per evitare dumping nei confronti dell'Ue). I 27 sono d'accordo che “la sostanza dell'accordo conta più del calendario”, spiega al Foglio una fonte Ue: “Se i britannici non cedono, non avremo un deal il 31 dicembre e ci ritorneremo dopo”. L'Ue non intende accettare “un accordo degradato. Meglio continuare nel 2021 per un accordo di qualità”, conferma un diplomatico di uno stato membro: “un'uscita senza accordo sarà un piccolo choc ma evita conseguenze negative sul lungo periodo per l'Ue”.

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La minaccia del “no deal” da parte dell'Ue potrebbe far parte del classico gioco negoziale, ma è comunque seria. Alcuni sperano che la prospettiva di una hard Brexit – cioè il ritorno di dazi e quote, oltre che di controlli alla frontiera, nel primo giorno dell'anno – convinca Johnson a fare le ultime concessioni. La bozza di trattato – oltre 1.400 pagine – è pronta al 95 per cento.

 

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Sui tre punti centrali per l'Ue ci sono stati alcuni progressi, anche se non sufficienti. Il dossier governance è praticamente chiuso, anche se non c'è ancora intesa sui meccanismi di rappresaglia in caso di violazione dell'accordo. Sul “level playing field” Barnier ha spiegato che il Regno Unito ha iniziato a muoversi e le possibilità di un compromesso accettabile sono elevate. Resta il problema pesca, irrilevante per la maggior parte degli stati membri, ma politicamente esplosivo per Emmanuel Macron e altre capitali. Gli ambasciatori di Francia e Danimarca sono stati i più duri questa mattina al Coreper, seguiti da Olanda e Belgio. I più soft, per contro, sono quelli di Irlanda e Italia. La Germania, usa la presidenza di turno per apparire neutrale, ma è sospettata da molti di volere un accordo a tutti i costi e di spingere la Commissione a fare troppe concessioni ai britannici. La decisione di Ursula von der Leyen di inviare la sua vice capo-gabinetto, Stephanie Riso, a Londra per negoziare al fianco di Barnier ha irritato diverse capitali. La Francia e altri ritengono che i negoziatori e la Commissione, su pressione di von der Lyen, siano pronti a andare troppo lontano per avere un accordo. Di qui la convocazione di Barnier davanti agli ambasciatori del Coreper. I rappresentanti degli stati membri gli hanno detto che prima di un annunciare un eventuale “deal” vogliono vedere il testo dell'accordo.

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