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L'Iran non fa la guerra

Daniele Ranieri

Si parla sempre di conflitto in arrivo quando si tratta di Teheran, ma ci sono cose che non quadrano 

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Dopo l’uccisione del generale e scienziato Mohsen Fakhrizadeh in Iran si è tornati a parlare di una possibile guerra nella regione, come a gennaio dopo la morte del generale Qassem Suleimani. In Iran in effetti i falchi chiedono una rappresaglia militare perché altrimenti, dicono, si rischia di perdere quel minimo di capacità di deterrenza che tiene a galla il paese. Il giornale Kayhan, vicino alla Guida Suprema, invoca un attacco contro il porto israeliano di Haifa con un’operazione che dovrebbe, secondo il giornale, rivelare l’impreparazione alla guerra di israeliani e americani. Come a gennaio, la possibilità di uno scontro in arrivo è un’interpretazione possibile – ma non plausibile. L’Iran non è in condizioni di sostenere un conflitto, la sua economia è in sofferenza, la pandemia ha avuto effetti debilitanti e c’è da contare che ci sono ancora cinquanta imprevedibili giorni di Amministrazione Trump e non si sa come potrebbe reagire il presidente americano: a gennaio ha ordinato l’uccisione di Suleimani e a giugno ha bloccato un attacco aereo contro le basi iraniane quando ormai gli aerei erano già in volo per andare a bombardare. Una guerra tra l’Iran e i suoi nemici non sarebbe una guerra di terra, ma uno scambio di bombardamenti e la differenza tra le due parti è enorme – nel marzo 2018 alcuni F-35 israeliani hanno sorvolato l’Iran senza farsi scoprire. 

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Dopo l’uccisione del generale e scienziato Mohsen Fakhrizadeh in Iran si è tornati a parlare di una possibile guerra nella regione, come a gennaio dopo la morte del generale Qassem Suleimani. In Iran in effetti i falchi chiedono una rappresaglia militare perché altrimenti, dicono, si rischia di perdere quel minimo di capacità di deterrenza che tiene a galla il paese. Il giornale Kayhan, vicino alla Guida Suprema, invoca un attacco contro il porto israeliano di Haifa con un’operazione che dovrebbe, secondo il giornale, rivelare l’impreparazione alla guerra di israeliani e americani. Come a gennaio, la possibilità di uno scontro in arrivo è un’interpretazione possibile – ma non plausibile. L’Iran non è in condizioni di sostenere un conflitto, la sua economia è in sofferenza, la pandemia ha avuto effetti debilitanti e c’è da contare che ci sono ancora cinquanta imprevedibili giorni di Amministrazione Trump e non si sa come potrebbe reagire il presidente americano: a gennaio ha ordinato l’uccisione di Suleimani e a giugno ha bloccato un attacco aereo contro le basi iraniane quando ormai gli aerei erano già in volo per andare a bombardare. Una guerra tra l’Iran e i suoi nemici non sarebbe una guerra di terra, ma uno scambio di bombardamenti e la differenza tra le due parti è enorme – nel marzo 2018 alcuni F-35 israeliani hanno sorvolato l’Iran senza farsi scoprire. 


E, ancora, c’è da considerare la possibilità per l’Iran di ripartire sul piano diplomatico con l’Amministrazione Biden, che offre molte più chance di negoziati, ma quella possibilità sarebbe spazzata via da una eventuale guerra. Inoltre a gennaio la rappresaglia militare contro gli Stati Uniti per l’uccisione di Suleimani si era trasformata in un disastro, durante quella fase di tensione altissima una batteria missilistica vicino alla capitale Teheran aveva abbattuto per sbaglio un aereo di linea con 176 persone a bordo. Il regime aveva promesso ulteriori operazioni di rappresaglia contro l’America e tuttavia non è successo perché deve avere calcolato che i problemi sono superiori agli svantaggi. Infine, ancora sulla questione “guerra”: l’Iran è già molto attivo nella regione, a suo modo sta già facendo la guerra: le milizie filoiraniane colpiscono dove possono, dalle basi americane in Iraq alle raffinerie saudite, e trasferiscono armi e missili in Siria, sono notizie che si perdono in trafiletti minori ma non si può parlare di una situazione di pace. 


Anche l’interpretazione che vorrebbe l’uccisione di Fakhrizadeh come un colpo molto importante contro il programma nucleare dell’Iran è da ridimensionare. Ormai i tecnici iraniani hanno le conoscenze per costruire la bomba atomica da molti anni, quello che manca loro è il combustibile nucleare (ma le centrifughe sono al lavoro per colmare questa mancanza) e un chiaro ordine politico. Fakhrizadeh era un simbolo, la sua uccisione ha scosso il paese ma non era più indispensabile da tempo. Infine c’è la questione del presidente Biden, che vorrebbe riaprire un dialogo con l’Iran. L’omicidio dello scienziato ha ridotto le chance diplomatiche del presidente eletto? Non è detto. Il suo arrivo sarà una chiara rottura con i quattro anni precedenti e inoltre a giugno 2021 in Iran si vota per il nuovo presidente (che di sicuro non porterà un cambiamento altrettanto ampio). Due paesi con due leadership rinnovate non saranno vincolati da quello che succede adesso. 

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