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Cronache groenlandesi, come essere uno stato "altro" rispetto all’Europa

Guido De Franceschi

Geograficamente fa parte dell'America e politicamente dell'Europa, ma culturalmente è un mondo a sè. La Groenlandia vista dagli inuit in una raccolta di leggende locali

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La Groenlandia fa parte geograficamente dell’America e politicamente dell’Europa, visto che appartiene alla Danimarca. E dell’Europa, per centinaia di anni, la Groenlandia ha fatto parte anche culturalmente, perché erano danesi quelli che la governavano, che la studiavano, che cercavano di organizzarla come un paese moderno e, soprattutto, erano danesi quelli che la raccontavano al resto del mondo. La Groenlandia si è però poi affacciata sull’indipendenza, fermandosi giusto un passo prima: nel 2009 si è stabilito, in accordo con Copenaghen, che l’isola artica potrà indire un referendum d’indipendenza quando lo vorrà. Secondo i sondaggi, i favorevoli all’addio definitivo alla Danimarca sono circa il 70 per cento, ma la maggioranza afferma di preferire che il distacco avvenga “nei prossimi anni”.

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La Groenlandia fa parte geograficamente dell’America e politicamente dell’Europa, visto che appartiene alla Danimarca. E dell’Europa, per centinaia di anni, la Groenlandia ha fatto parte anche culturalmente, perché erano danesi quelli che la governavano, che la studiavano, che cercavano di organizzarla come un paese moderno e, soprattutto, erano danesi quelli che la raccontavano al resto del mondo. La Groenlandia si è però poi affacciata sull’indipendenza, fermandosi giusto un passo prima: nel 2009 si è stabilito, in accordo con Copenaghen, che l’isola artica potrà indire un referendum d’indipendenza quando lo vorrà. Secondo i sondaggi, i favorevoli all’addio definitivo alla Danimarca sono circa il 70 per cento, ma la maggioranza afferma di preferire che il distacco avvenga “nei prossimi anni”.

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Con questa prudenza c’entra il fatto che la Groenlandia dipende molto dai sussidi danesi, per sostituire i quali bisognerebbe rimappare un’economia asfittica che, secondo gli autonomisti, sconta un’impronta coloniale – e bisognerebbe farlo sfuggendo alla golosità della Cina e di altri “investitori” interessati a infilare il loro forchettone nell’Artico; nel 2019 Donald Trump propose al governo danese di comprare la Groenlandia e, ricevuto un “no”, annullò una visita ufficiale a Copenaghen. La Groenlandia indipendente sarebbe l’unico stato del nord del mondo con una maggioranza di “natives”, di “indigeni”, che pure sono presenti in molti altri paesi settentrionali, dagli Stati Uniti, al Canada e dalla Norvegia al Giappone.

 

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Ma, se ovunque, tranne che nel territorio autonomo canadese del Nunavut, le “popolazioni originarie” rappresentano solo uno zerovirgola della popolazione, in Groenlandia gli inuit sono invece quasi il 90 per cento dei 56 mila abitanti sparsi in un’isola grande sette volte l’Italia. Negli anni, indipendenza o no, la Groenlandia si è sempre più separata dall’Europa (nel 1985 è uscita, via referendum, dalla Cee). E, almeno dal punto di vista culturale, è già compiutamente tornata a essere un posto “altro”: dal 2009 l’unica lingua ufficiale è il kalaallisut, l’idioma degli inuit (danese, addio!). Sarebbe quindi interessante sapere come la Groenlandia sia raccontata dai groenlandesi e non dai “danesi di Groenlandia”, come è stato per secoli.

 

Ma, in una cultura che è sempre stata quasi soltanto orale, è un’impresa trovare qualche cosa da leggere. Bisogna accontentarsi di due poli opposti. Uno è il modernissimo romanzo “HOMO sapienne”. Scritto in kalaallisut dalla giovane Niviaq Korneliussen e tradotto in molte lingue (non in italiano), il libro racconta con piglio narrativo sperimentale, lodato dal New Yorker, una storia lgbt ambientata tra i giovani della capitale Nuuk, l’unica “città” del paese. L’altro polo è offerto dalle “Leggende groenlandesi” appena pubblicate da Iperborea a cura di Bruno Berni, che ci aprono uno squarcio sull’identità di un popolo che, certo, oggi vive anche le storie ipercontemporanee raccontate dalla Korneliussen, ma che rimane legatissimo alla sua identità ancestrale – il kayak, la caccia indefessa a tutte le poche forme di vita commestibili presenti in loco, la reverenza impaurita verso una Natura al cui confronto quella dell’islandese leopardiano è una mammina tutta coccole, l’abitudine di stringersi in comunità poco più grandi di una famiglia.

 

Queste storie sono uno spasso, per la loro distanza straniante da ogni fiaba, leggenda o mitologia europea. Ma soprattutto – per quanto raccolte e pubblicate per la prima volta, tra il 1921 e il 1925, in lingua danese (arridaje) dal “danese di Groenlandia” Knud Rasmussen – sono uno strumento per capire molte cose. Ad esempio la compattezza culturale e il senso di separatezza degli inuit (dopo quasi mille anni di incontri con l’“altro”, in una sola di queste 32 leggende compare una figura umana allogena, un commerciante danese). Oppure, l’ansia di autoconservazione di un popolo minuscolo (la leggenda sul modello del diluvio universale, che racconta come “tutti i groenlandesi orientali discendano da pochissime famiglie” scampate a un cataclisma, assume un colore particolare se si pensa che “tutti i groenlandesi orientali” sono oggi circa tremila individui).

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E, in una delle storie più intense, emerge con tutta la sua forza il dramma connaturato al rapporto tra un posto pazzesco e gli abitanti di questo posto pazzesco. Per tutta la sua vita un cacciatore non ha mai voluto muoversi da Aluk, l’insediamento in cui vive. È troppo legato, dice, alla maestosa visione del sole in quel luogo. Quando è ormai anziano, il figlio lo convince a vedere altre parti del mondo (e cioè altri tratti della costa groenlandese). Presto però il vecchio insiste per tornare a casa. Lì, per prima cosa, va a guardare il “suo” sole. Il figlio lo troverà steso a terra, morto: “Questo fu l’incontro del vecchio grande cacciatore col sole del suo insediamento. La gioia fu così potente che gli scoppiò il cuore”.

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