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Podemos non se ne fa scappare una, nemmeno il referendum del Sahara

Guido De Franceschi

Pablo Iglesias appoggia la causa saharawi e indispettisce il governo Sánchez che ha bisogno del suo appoggio per la Finanziaria

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Milano. All’indomani dell’interruzione di un cessate il fuoco durato 29 anni da parte del Fronte Polisario (la storica organizzazione armata saharawi, che afferma di aver reagito a un’operazione militare marocchina), il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha sollecitato il governo spagnolo, di cui lui stesso è vicepremier, ad appoggiare subito un referendum di autodeterminazione nel Sahara Occidentale. Il diritto per i saharawi di decidere del destino del loro territorio, controllato da 45 anni dal Marocco, è sostenuto, oltre che dalle Nazioni Unite, anche dai socialisti spagnoli (il coinvolgimento iberico nella vicenda del Sahara Occidentale, di cui tutto il resto del mondo si disinteressa colpevolmente, è determinato dal fatto che questo lembo di deserto vista mare è finito in un eterno limbo proprio a causa della Spagna che, dopo averlo tenuto come colonia fino al 1976, al tramonto del franchismo lo abbandonò poi, da un momento all’altro, alla sua incerta sorte).

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Milano. All’indomani dell’interruzione di un cessate il fuoco durato 29 anni da parte del Fronte Polisario (la storica organizzazione armata saharawi, che afferma di aver reagito a un’operazione militare marocchina), il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha sollecitato il governo spagnolo, di cui lui stesso è vicepremier, ad appoggiare subito un referendum di autodeterminazione nel Sahara Occidentale. Il diritto per i saharawi di decidere del destino del loro territorio, controllato da 45 anni dal Marocco, è sostenuto, oltre che dalle Nazioni Unite, anche dai socialisti spagnoli (il coinvolgimento iberico nella vicenda del Sahara Occidentale, di cui tutto il resto del mondo si disinteressa colpevolmente, è determinato dal fatto che questo lembo di deserto vista mare è finito in un eterno limbo proprio a causa della Spagna che, dopo averlo tenuto come colonia fino al 1976, al tramonto del franchismo lo abbandonò poi, da un momento all’altro, alla sua incerta sorte).

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Non ci sarebbe stato quindi niente di strano nelle parole di Iglesias. E invece nel Psoe si sono molto irritati con lui per una questione di opportunità: proprio in queste settimane, infatti, il ministro degli Esteri spagnolo, Arancha González Laya, e quello dell’Interno, Fernando Grande-Marlaska (che oltretutto è atteso oggi a Rabat), stanno discutendo con il Marocco, con cui peraltro i rapporti non sono sempre affettuosissimi, per provare a trovare misure di contenimento che allentino l’enorme pressione dell’immigrazione clandestina sulle Canarie. Quest’anno gli sbarchi nell’arcipelago spagnolo che fronteggia le coste del Marocco e, appunto, del Sahara Occidentale, sono aumentati di più del mille per cento rispetto al 2019 e le strutture di ricezione dei migranti irregolari (che sono per circa la metà marocchini e per l’altra metà subsahariani) sono prossime al collasso. Per questo l’endorsement alla causa saharawi espresso proprio in questi giorni da Iglesias è apparso ai compagni di coalizione del tutto fuori luogo: parlare del Sahara Occidentale – e per di più farlo così, un po’ alla chetichella – è, in assoluto, il modo più sicuro per infastidire il suscettibile governo di Rabat.

 

L’uscita intempestiva (volutamente intempestiva) di Iglesias si intona perfettamente con il modo in cui il leader di Podemos interpreta il ruolo di junior partner del primo governo di coalizione nella storia della democrazia spagnola. Infatti, nel dibattito sulla legge finanziaria che è ora in corso a Madrid, e la cui approvazione è decisiva per determinare il corso del resto della legislatura (grazie alle particolarità del sistema parlamentare spagnolo, se riuscisse a ottenere un “sì” al budget per il 2021 Pedro Sánchez diventerebbe pressoché inamovibile, per un paio di anni, dalla poltrona di premier), Iglesias ha mostrato un’analoga strategia, che si basa sul dire sempre di proposito la cosa sbagliata nel momento sbagliato. Nel caso della Finanziaria, ad esempio, il leader di Podemos si è vantato di aver mediato un appoggio di massima alla legge da parte degli indipendentisti catalani di Esquerra Republicana e, soprattutto, degli indipendentisti baschi di Bildu, eredi di quello che, con linguaggio novecentesco, veniva indicato come il braccio politico dei terroristi di Eta.

 

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Iglesias sta insomma facendo a sinistra quello che i sovranisti di Vox hanno fatto a destra, in occasione della mozione di censura al governo Sánchez: cercare di compromettere l’“alleato grande” – cioè il Partito popolare per Vox e il Psoe per Podemos – trascinandolo in terreni ritenuti del tutto inaccettabili dall’altro partito grande. Lo scopo di Vox e Podemos è quello di avvelenare la possibilità di alleanze centriste alternative e di rendersi quindi indispensabili. Per ora il risultato è che durante la mozione di censura di fine ottobre si è parlato di Francisco Franco e non di eventuali défaillance del governo Sánchez. E che ora, nel dibattito sulla Finanziaria, si parla di attentati di Eta degli anni Ottanta invece che di soldi. Qualche settimana fa, il leader popolare, Pablo Casado, si è parzialmente sottratto all’abbraccio tossico di Vox (stando all’opposizione è stato più facile ma poi, senza i voti di Vox, che cosa farà il Pp alle prossime elezioni locali e nazionali?). Da parte sua Sánchez, che invece non può prescindere dall’appoggio numerico di Podemos, deve ora cercare di evitare che l’appoggio ricevuto dai partiti “sponsorizzati” da Iglesias diventi una arma di propaganda letale nelle mani dell’opposizione.

 

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