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il dibattito

I lumi e l’islam di Francia

Luca Gambardella

A colloquio con Olivier Roy, Gilles Kepel e Sergio Romano su Macron, la laicità, la religione, il terrorismo e l’equivoco di quel “separatismo” che si vuole combattere

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La dura presa di posizione di Emmanuel Macron contro l’islam politico ha messo l’Europa davanti a un dilemma: scegliere su quali valori compattarsi per dare una risposta condivisa al terrorismo islamico. Prima dell’attacco di Nizza, della decapitazione del professor Samuel Paty e dell’assalto di Vienna, le parole del presidente francese che stigmatizzavano il “separatismo islamista” e sancivano la “crisi” della religione islamica avevano dato un moto di slancio a chi credeva nell’urgenza di una presa di coscienza collettiva. Alla bozza di legge annunciata da Macron entro la fine dell’anno ha fatto seguito il discorso del premier austriaco Alexander Kurz – che ha promesso d’istituire il reato di “islam politico”. Poi è arrivato quello, più controverso, del presidente dell’Unione europea, Charles Michel, che ha parlato di un islam più vicino ai valori europei. All’esigenza di difendersi dagli attentati terroristici con strumenti – anche legislativi – comuni a tutti i paesi membri, Michel ha rilanciato anche l’idea di una “scuola europea per gli imam”, a cui insegnare i valori europei inviolabili.

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La dura presa di posizione di Emmanuel Macron contro l’islam politico ha messo l’Europa davanti a un dilemma: scegliere su quali valori compattarsi per dare una risposta condivisa al terrorismo islamico. Prima dell’attacco di Nizza, della decapitazione del professor Samuel Paty e dell’assalto di Vienna, le parole del presidente francese che stigmatizzavano il “separatismo islamista” e sancivano la “crisi” della religione islamica avevano dato un moto di slancio a chi credeva nell’urgenza di una presa di coscienza collettiva. Alla bozza di legge annunciata da Macron entro la fine dell’anno ha fatto seguito il discorso del premier austriaco Alexander Kurz – che ha promesso d’istituire il reato di “islam politico”. Poi è arrivato quello, più controverso, del presidente dell’Unione europea, Charles Michel, che ha parlato di un islam più vicino ai valori europei. All’esigenza di difendersi dagli attentati terroristici con strumenti – anche legislativi – comuni a tutti i paesi membri, Michel ha rilanciato anche l’idea di una “scuola europea per gli imam”, a cui insegnare i valori europei inviolabili.

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La domanda su quali siano questi valori europei, chi debba deciderli e con quale autorità debba imporli, oltre alla pericolosa commistione fra politica e religione sono interrogativi che, nel giro di poche settimane, hanno innescato una discussione polarizzante. Fuori dai confini europei, alcuni paesi arabi hanno lanciato una campagna di boicottaggio dei prodotti francesi, mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha definito Macron una persona con “disturbi mentali”. Dentro ai confini dell’Europa, invece, buona parte di intellettuali e leader politici ha definito la levata di scudi contro l’islam come una forma di “colonizzazione culturale” dell’uomo bianco occidentale.

 

Olivier Roy, orientalista e politologo francese professore all’European University Institute, spiega al Foglio che la legge proposta da Macron pone diversi problemi interpretativi: “Si sottintende che il terrorismo sia una conseguenza del ‘separatismo religioso’. Ma sappiamo che pochi terroristi avevano un vero background religioso e non avevano scelto la violenza dopo avere compiuto studi religiosi. Non credo che bandire il salafismo per legge dissuaderà i giovani dal compiere atti violenti”. Roy contesta anche la vaghezza di alcuni termini usati da Macron nel suo ormai celebre discorso di Les Mureaux: “Il concetto di ‘separatismo’ che ha usato è troppo generico e proprio per questo rischia di prendere di mira ogni religione, anzi: ogni comportamento che pone la religione sopra i ‘princìpi’ – e non solo le leggi – della Repubblica. Dire che Dio è sovraordinato all’umanità è definito qui come ‘separatismo’. Ovvio: ufficialmente solo l’islam è coinvolto – come dimostra per esempio la legge contro il velo nelle scuole – ma io credo che questa avrà un impatto su tutte le religioni”. Un altro tema, continua Roy, è quello della scuola europea per gli imam: “Come può uno stato laico, dove la separazione fra stato e chiesa è sancita dalla Costituzione, imporre un curriculum teologico per i predicatori? E’ una misura senza senso, o comunque priva di credibilità”.

 

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Che le parole di Macron abbiano innescato un cortocircuito anche in termini comunicativi trova d’accordo Gilles Kepel, arabista e filosofo francese, professore all’Université Paris Sciences et Lettres. Ma su questo equivoco semantico Kepel dà una lettura opposta a quella di Roy. “Nel mondo arabo, il discorso sul ‘separatismo islamista’ fatto da Macron è stato interpretato in modo ben diverso da come sia stato recepito in Europa”, ci spiega Kepel. “Lì il termine ‘islamista’ è stato letto come ‘islamico’ e quindi come un esplicito attacco del presidente francese alla religione islamica. D’altra parte, in arabo non esiste una parola per tradurre ‘islamista’”. Da qui – dice Kepel – sono arrivate le reazioni rabbiose del mondo arabo, dai Fratelli musulmani a Erdogan. “Ma contro la Francia è partito anche l’attacco di una parte della stampa anglosassone, dal New York Times al Financial Times – spiega il filosofo – soprattutto l’intellighenzia americana si schiera da tempo dalla parte delle minoranze religiose. Sono circoli intellettuali che nutrono anche un pregiudizio di fondo nei confronti della Francia: nel confronto fra Macron e l’islam qualcuno vede una replica di una nuova questione ebraica. E da qui deriva l’idea dell’uomo bianco che, a loro avviso, dovrebbe nutrire un senso di colpa nei confronti dell’islam. In America hanno una comprensione piuttosto limitata della realtà francese. Certo, non va nemmeno dimenticato che l’idea di Grandeur parte sempre dal presupposto che nessuno sia mai davvero in grado di comprendere la Francia”. Ma per Kepel il discorso di Macron è arrivato con i tempi giusti: “Mi pare che gli ultimi attentati in Francia abbiano dimostrato la fondatezza di quelle parole, che hanno messo in luce come esista un problema culturale per l’islam. L’abbiamo visto anche nel caso di Paty, dove si ritrova tutta la simbologia tipica del rito di passaggio proprio della tradizione cecena, dove la decollazione del professore non è stato altro che la replica del sacrificio animale”. D’altra parte, proprio nei giorni degli attentati si celebrava il processo per quelli del 2015 a Charlie Hebdo: “Ora si parla solamente di ‘separatismo islamista’ e si è abbandonata ogni attenzione mediatica al processo: per gli integralisti questa è una vittoria”.

 

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Sergio Romano, storico ed ex diplomatico, ritiene che il governo francese rischia di infilarsi in un gioco pericoloso: “Macron ha commesso un errore perché i temi religiosi sono delicati e le interferenze della politica non pagano quasi mai. Nelle sue parole – dice Romano al Foglio – c’era un’accusa esplicita nei confronti dell’islam, arrivata nonostante ci sia una forte presenza musulmana sul territorio francese. Credo che il presidente avrebbe dovuto fare i conti questa realtà in modo diverso, facendo più attenzione”. Per Romano, l’Eliseo ha tentato di affrontare un dualismo da sempre latente in Francia, quello tra laicità e religione: “Stavolta, Macron ha cercato di dare soddisfazione all’altra anima del paese, quella che risale alla ‘Francia figlia prediletta della chiesa’, per intenderci. A partire dalla Rivoluzione francese, invece, è la laicità a essere diventata la vera religione di stato”. La stessa definizione di “separatismo”, dice l’ex diplomatico, pone dubbi: “Cosa si intende veramente? Non riesco a dare un’interpretazione alla definizione macroniana di ‘separatismo’. Forse si intende dire che la Francia musulmana intende separarsi da quella europea? Bisogna stare attenti a mio avviso, perché se si dà all’islamismo una connotazione di tipo terroristico allora si creerebbero davvero i presupposti per una guerra di religione”. E infatti proprio per questo motivo Macron ha poi aggiustato il tiro, specificando al Financial Times la differenza fra “separatismo” islamista e islamismo.

 

“Quello che viene visto oggi come ‘separatismo’ è in realtà una reazione dei fedeli musulmani alla deculturalizzazione dell’islam, cioè il rifiuto dell’islam di fare compromessi con una società secolare”, spiega ancora Roy. “Attenzione: ho detto laica, non cristiana, perché ormai quella cristiana non è più la cultura dominante”. La nuova società secolare d’occidente ha allontanato tutti, spiega l’orientalista, non solo l’islam: “E’ un fenomeno che riguarda anche gli ebrei, i cristiani evangelici e anche alcuni movimenti carismatici e conservatori del cattolicesimo”. E l’occidente – continua Roy – non deve sentire alcun senso di colpa per avere innescato questa forma di separatismo, che non è altro che una “conseguenza della secolarizzazione dell’Europa. Che di certo è aggravata, soprattutto nelle comunità musulmane, da una condizione di povertà ed esclusione economica”. Ma per l’orientalista francese, non sono queste le vere motivazioni del fondamentalismo islamico. Il nodo gordiano è invece il confronto impossibile fra società secolare e comunità represse, dice Roy: “Oggi in Europa va di moda il termine che indica il ‘modo di vivere europeo’ (usato di recente anche per denominare la direzione generale della Commissione europea per l’Immigrazione, ndr). Ma cosa si intende con questa definizione? Ricordiamoci che, sin dai tempi dell’enciclica di Paolo VI “Humanae Vitae” del 1968, la chiesa cattolica è molto critica nei confronti di ciò che è visto da molti europei – inclusi i populisti dell’Europa del nord – come un vero ‘modo di vivere europeo’: basti pensare alla libertà sessuale o al rifiuto del concetto di famiglia tradizionale”. I nuovi valori occidentali da inculcare ai “separatisti” religiosi devono passare prima per la definizione dei valori europei: “Ma siamo incapaci di farlo, siamo i primi a non riuscire a metterci d’accordo”.

 

Condivisibile o meno, il discorso di Macron sull’islam politico sembra abbia fatto breccia su un tema rimasto sotto le ceneri dell’integrazione europea per diversi anni: chi sono e in cosa credono gli europei? Sergio Romano è dubbioso nei confronti di ogni discorso politico su base identitaria: “Mi preoccupa chi dice che vuole costruire un’Europa dell’identità. Io preferirei costruire invece un’Europa delle istituzioni, per farne una più forte”, dice al Foglio. Kepel non è altrettanto netto. Il filosofo francese, per esempio, accoglie la proposta di una scuola europea per gli imam e non si scandalizza davanti alla prospettiva di indottrinare con valori europei i rappresentanti di altre religioni, proprio perché – dice al Foglio – “anche loro sono cittadini europei. Perché non dovrei essere favorevole?”. Kepel non crede a chi vede in questo laicismo a oltranza una sorta di fascismo pronto a schiacciare le realtà religiose o culturali minoritarie. Per lui non esiste in Europa – tantomeno nelle parole di Macron – una discriminazione preordinata. Per il professore esperto di Mediterraneo e medio oriente, la questione è più politica che valoriale e riguarda il confronto in corso fra Macron e Erdogan: “Il loro sembra lo scontro fra due idee di laicità che competono nel Mediterraneo”. Quella del presidente turco è più subdola perché “si muove su due piani: da una parte intende incarnare il nuovo Ataturk, leader laico e nazionalista e lo si vede nella sua politica aggressiva nella regione in cui Macron è suo antagonista. Il confronto con il presidente francese – spiega ancora Kepel – ha raggiunto per Erdogan livelli quasi psicoanalitici, come dimostra quando definisce il capo dell’Eliseo un pazzo con ‘problemi mentali’. Dall’altra, Erdogan si muove anche su un livello religioso e per questo si è candidato a nuovo Khomeini, difensore dell’islam contro i bestemmiatori occidentali. La mossa di riaprire al culto islamico a Santa Sophia, a Istanbul lo scorso luglio, si iscrive proprio in questa strategia”. Ma per Kepel, gli attriti fra Erdogan e l’Europa non supereranno un certo limite: “Ha ancora bisogno di noi, soprattutto per le condizioni drammatiche in cui versa l’economia turca. L’Europa inoltre non è compatta al fianco di Macron sulla politica da tenere con la Turchia. La cancelliera tedesca Angela Merkel non intende seguire Macron in questa guerra aperta, preoccupata da eventuali conseguenze per la politica interna. I turchi in Germania non sono come gli algerini in Francia: se Erdogan gli dice di votare qualcuno, loro lo seguono compatti”.

 

“In questa Europa sotto attacco non esiste una ricetta semplice o univoca”, conclude Roy, che indica una strada alternativa alla soluzione macroniana: “Invece di usare soluzioni imposte dall’alto al basso servirebbero quelle che vadano in direzione opposta, dal basso verso l’alto, imparando dalle esperienze locali e favorendo le pratiche religiose pacifiche”. Mettere pressione per imporre pratiche religiose specifiche rischia di portate a risultati opposti a quelli sperati, dice il filosofo francese: “Imporre un islam secolarizzato significa consegnare le chiavi della ‘vera’ religione agli estremisti. Non ci serve meno religione. Piuttosto, ci serve uno spazio accogliente per la religione”.

 

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