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Perché la Bulgaria intralcia l’ingresso nell’Ue della Macedonia del nord

Guido De Franceschi

Dopo Atene, ora è Sofia ad avere almeno due “problemi” con il processo di adesione di Skopje: la lingua e l’eroe Gotse Delchev

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Lo stato che i suoi abitanti chiamavano Macedonia e che chiunque non volesse entrare in frizione con il governo greco chiamava FYROM (acronimo per “Ex Repubblica jugoslava di Macedonia”) dal 2018 si chiama per tutti Repubblica della Macedonia del nord. Evviva? No. Infatti, risoltosi dopo 27 anni il conflitto nominalistico con la Grecia, per la Macedonia del nord, che può consolarsi solo con la prima qualificazione della nazionale di calcio agli Europei, si è aperto un analogo fronte con la Bulgaria. Ieri con Atene e oggi con Sofia, la posta in gioco è la stessa: la possibilità del futuro ingresso di Skopje in Europa, che è in discussone per l’ennesima volta in questi giorni. E, oggi come ieri, la questione riguarda questioni identitarie.

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Lo stato che i suoi abitanti chiamavano Macedonia e che chiunque non volesse entrare in frizione con il governo greco chiamava FYROM (acronimo per “Ex Repubblica jugoslava di Macedonia”) dal 2018 si chiama per tutti Repubblica della Macedonia del nord. Evviva? No. Infatti, risoltosi dopo 27 anni il conflitto nominalistico con la Grecia, per la Macedonia del nord, che può consolarsi solo con la prima qualificazione della nazionale di calcio agli Europei, si è aperto un analogo fronte con la Bulgaria. Ieri con Atene e oggi con Sofia, la posta in gioco è la stessa: la possibilità del futuro ingresso di Skopje in Europa, che è in discussone per l’ennesima volta in questi giorni. E, oggi come ieri, la questione riguarda questioni identitarie.

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Già dei macedoni antichi non si era mai capito bene chi fossero. “Veri greci” o “mezzi barbari”? Ancora ce lo si domandava ed ecco già la rapidissima fiammata espansionistica militare e culturale di Alessandro. Ma poi il regno macedone si sbriciolò subito in un mosaico di dinastie indipendenti e ormai non importò più a nessuno chi fossero davvero quegli uomini che da Pella avevano esportato la grecità in mezzo mondo. E la maledizione di questa identità un po’ indistinta accompagna la sorte dei macedoni moderni che, seppur slavi, si sentono eredi, almeno onomasticamente (i greci si tappino le orecchie), anche di quei macedoni là, del IV secolo a. C. Nella lite con la Grecia, gli elementi principali della contesa erano l’uso del nome “Macedonia” e del simbolo del Sole di Verghina. Nonché l’intitolazione dell’aeroporto di Skopje ad Alessandro Magno – Atene lo considerò un atto intollerabile di appropriazione culturale e pose il veto all’ingresso di Skopje nella Nato.

 

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Oggi, il conflitto diplomatico con la Bulgaria si basa su due “problemi”. Il primo è che i macedoni sono restii a riconoscere la discendenza della loro lingua dal bulgaro (eufemismo: i bulgari sostengono che il macedone non esista come lingua autonoma e forzano la mano, sapendo che non ha un’antica tradizione letteraria e che la prima attestazione scritta dell’attuale macedone standard è il quotidiano Nova Makedonja apparso nel 1944). Il secondo è la contesa sulla nazionalità di Gotse Delchev (1872-1903), che se non è l’eroe dei due mondi lo è quanto meno dei due paesi (Bulgaria e Macedonia del nord, appunto).

 

Delchev è il campione della lotta contro gli ottomani per la liberazione “dei macedoni e dei bulgari” (versione macedone della storia) o “dei bulgari e quindi dei macedoni, che ne sono solo una variante regionale” (versione bulgara della storia). In ogni caso, sia il principale partito di opposizione macedone sia uno dei partiti al governo in Bulgaria si chiamano Vmro – Organizzazione rivoluzionaria interna macedone – in omaggio al movimento politico di Delchev. Chi cerca un motivo scatenante nota che il governo bulgaro, traballante da mesi, sta tentando di distrarre a botte di nazionalismo l’opinione pubblica e vuole scongiurare l’ipotesi che si inizi a parlare anche di una “minoranza macedone” in Bulgaria accanto alla già foltissima minoranza turca.

 

Ma la questione ha davvero a che fare soprattutto con nomi, identità e pantheon nazionali in un’area in cui tutti alimentano incomprensioni sul passato, anche se paralizzano il presente e pregiudicano il futuro. Peraltro, l’eroe conteso Delchev, che forse si sentiva bulgaro o forse macedone o forse tutte e due le cose, ma che sicuramente si sentiva slavo, è nato in un posto che allora era sotto dominio ottomano ma che ora si trova nella Macedonia ellenica, una terra che i greci considerano estranea a quel mondo slavo che si sarebbe appropriato indebitamente dell’etnonimo “macedone”. Intanto 500 mila cittadini della Macedonia del nord di etnia e lingua albanese, più di un quarto della popolazione, da trent’anni assistono con un senso di estraneità a queste vicende. E in loro sobbollono questioni diverse ma analoghe che, al posto di Atene e Sofia, coinvolgerebbero Tirana e Pristina.

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