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Dove vanno i fondi europei destinati a Budapest e a Varsavia?

Le inchieste sull'uso del denaro europeo portano al padre, al fratello, al genero e agli amici del premier ungherese

Micol Flammini

La Polonia sul veto segue l’Ungheria, ma rischia molto di più, per la famiglia Orbán invece la questione è un affare di famiglia, follow the money

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Il veto posto da Ungheria e Polonia al bilancio 2021-2027  e al Recovery fund ha due pesi e due significati diversi per le due nazioni. A Varsavia la decisione presa in opposizione al meccanismo di condizionalità dello stato di diritto non è stata approvata da tutta la maggioranza. Anche il  ministro dell’Economia, Jaroslaw Gowin, che si è messo a fare i conti,  ha spiegato in un’intervista che il veto per la Polonia non è conveniente. Sono  il leader del partito PiS, Jaroslaw Kaczynski, e il ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro, autore di tutte le riforme che rischierebbero di bloccare i soldi europei, i più  convinti che in questa battaglia sia necessario  seguire il primo ministro ungherese Viktor Orbán e rinunciare agli oltre ventisette miliardi di euro che il Recovery fund garantirebbe a Varsavia in sei anni. 

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Il veto posto da Ungheria e Polonia al bilancio 2021-2027  e al Recovery fund ha due pesi e due significati diversi per le due nazioni. A Varsavia la decisione presa in opposizione al meccanismo di condizionalità dello stato di diritto non è stata approvata da tutta la maggioranza. Anche il  ministro dell’Economia, Jaroslaw Gowin, che si è messo a fare i conti,  ha spiegato in un’intervista che il veto per la Polonia non è conveniente. Sono  il leader del partito PiS, Jaroslaw Kaczynski, e il ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro, autore di tutte le riforme che rischierebbero di bloccare i soldi europei, i più  convinti che in questa battaglia sia necessario  seguire il primo ministro ungherese Viktor Orbán e rinunciare agli oltre ventisette miliardi di euro che il Recovery fund garantirebbe a Varsavia in sei anni. 

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E’ vero che il PiS in questi anni ha usato i soldi dell’Ue nelle zone in cui il suo bacino elettorale è più fedele, e ha preso la decisione grave di non destinarli invece alle città che avevano dichiarato di essere a favore dei diritti Lgbt, ma l’uso che  è stato fatto dei soldi europei, complici anche i governi dell’opposizione, ha aiutato la nazione a diventare  sempre più moderna e competitiva. La Polonia, e soprattutto il PiS, non può fare a meno dei soldi europei: l’economia del paese  ne risentirebbe e il partito perderebbe molti voti. In Ungheria la situazione è molto diversa, e la questione dei fondi europei e del veto non è nazionale, è personale. Sono anni che i giornalisti di direkt36, un sito di inchiesta in inglese e ungherese, investigano su dove finiscono i soldi dell’Ue in Ungheria. La risposta di direkt36 è: alla famiglia Orbán. Scrive il giornalista investigativo Szabolcs Panyi che spesso non si pensa che collegare i fondi europei allo stato di diritto non sia tanto una minaccia alla nazione quando agli Orbán: premier, fratello, padre,  genero e anche ai compagni di scuole.  Appunto, è  personale. Gyozo Orbán, padre del premier, ha guadagnato decine di milioni di euro attraverso progetti di lavori pubblici finanziati dai fondi dell’Ue. Nel 2018, la sua società mineraria ha registrato un profitto del 41,3 per cento, riferiscono i giornalisti, le cui inchieste sono poi state confermate da alcune indagini europee. Molti di questi progetti erano straordinariamente costosi e l’Ue è intervenuta. Il fratello del primo ministro, Gyozo anche lui, ha ricevuto negli anni per la sua azienda che si occupa di tecnologia, la Gamma Analcont Kft., diversi sussidi provenienti dal bilancio Ue:  chi stabilisce dove vanno le sovvenzioni è l’ufficio del primo ministro. Gli affari del genero István sono oggetto di indagine da parte delle  autorità europee: anche lui avrebbe vinto diversi appalti per ricevere i fondi. L’Olaf, l’ufficio europeo per la lotta antifrode ha cercato di fornire prove su come veniva utilizzato il denaro di Bruxelles in Ungheria, ma poi la polizia di Budapest  ha deciso di chiudere il caso. Due inchieste del New York Times dello scorso anno avevano anche dimostrato come molti dei soldi provenienti dai fondi destinati all’agricoltura fossero stati assegnati ad aziende vicine a Fidesz, come il caso di Meszáros e Sándor Csányi che nel 2018 hanno ricevuto 28 milioni di euro di sussidi su un totale di 1,8 miliardi di euro di quelli che l’Ungheria riceve ogni anno. Un’altra inchiesta  aveva dimostrato come molti dei soldi destinati alla sanità fossero finiti  nella costruzione di stadi, una passione fortissima del premier.

 

 

Come scrive  Anna Júlia Donáth, membro del partito di opposizione Momentum, con il veto Orbán sta dicendo che “se lui e la sua famiglia non posso più rubare i fondi dell’Ue, allora neppure l’Ungheria può averli”. I fondi sono stati usati male, spesi per aumentare corruzione e clientelismo, Orbán può permettersi di giocare con i veti, che sia un bluff o meno. Per la Polonia la situazione è molto diversa, sta rischiando di compromettere la sua economia per   correre dietro all’Ungheria. 

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