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Chiuso nella Casa Bianca

La “resistenza” di Trump comincia ad afflosciare persino i fan più esagitati

Daniele Ranieri

Oggi la “million march”, una marcia dei sostenitori a Washington, ma la guerriglia contro Biden fa cilecca e amplifica l’umiliazione del presidente. Putin ancora non si pronuncia, in nome della strategia che segue da anni

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Sul magazine Newlines Michael Weiss prende posizione contro tutti i timori di una resistenza a oltranza di Trump, che secondo molti sarebbe ancora in grado di controllare e mobilitare una base immensa di sostenitori sebbene abbia perso nelle urne. La discesa del presidente nella farsa e nel burlesco seguita alla vittoria di Biden è una lenta umiliazione – scrive l’editorialista – e la folla che doveva difenderlo è già tornata a casa perché anche nel paese “spaccato e lacerato” descritto dai giornalisti la gente ha di meglio da fare durante il fine settimana. Anzi, continua, è stato un bene che un presidente creato dalla televisione sia stato costretto a vedere in tv e al rallentatore lo spoglio che l’ha dichiarato perdente, senza più essere in grado di controllare il messaggio, fino a esplodere su Twitter: fermate i conteggi! Adesso la battaglia per bloccare la transizione verso l’Amministrazione Biden è soltanto uno spreco di tempo. La tesi di Weiss è che la disfatta sia così profonda che persino i suoi fan sono demoralizzati. Oggi ne avremo la controprova, perché a Washington è prevista una marcia dei sostenitori di Trump, una “million march”, la marcia del milione, per far vedere al presidente che il paese è schierato con lui. La definizione usata dai promotori ricorda il termine arabo “millioneya”, che sarebbe “la marcia da un milione di persone” che ogni tanto qualcuno indice nei paesi arabi come prova di popolarità e di forza. 

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Sul magazine Newlines Michael Weiss prende posizione contro tutti i timori di una resistenza a oltranza di Trump, che secondo molti sarebbe ancora in grado di controllare e mobilitare una base immensa di sostenitori sebbene abbia perso nelle urne. La discesa del presidente nella farsa e nel burlesco seguita alla vittoria di Biden è una lenta umiliazione – scrive l’editorialista – e la folla che doveva difenderlo è già tornata a casa perché anche nel paese “spaccato e lacerato” descritto dai giornalisti la gente ha di meglio da fare durante il fine settimana. Anzi, continua, è stato un bene che un presidente creato dalla televisione sia stato costretto a vedere in tv e al rallentatore lo spoglio che l’ha dichiarato perdente, senza più essere in grado di controllare il messaggio, fino a esplodere su Twitter: fermate i conteggi! Adesso la battaglia per bloccare la transizione verso l’Amministrazione Biden è soltanto uno spreco di tempo. La tesi di Weiss è che la disfatta sia così profonda che persino i suoi fan sono demoralizzati. Oggi ne avremo la controprova, perché a Washington è prevista una marcia dei sostenitori di Trump, una “million march”, la marcia del milione, per far vedere al presidente che il paese è schierato con lui. La definizione usata dai promotori ricorda il termine arabo “millioneya”, che sarebbe “la marcia da un milione di persone” che ogni tanto qualcuno indice nei paesi arabi come prova di popolarità e di forza. 

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Se il corteo funzionerà sarà un fatto interessante. In origine – cinque giorni fa – doveva servire ad appoggiare i ricorsi fatti dagli avvocati del presidente per contestare i risultati elettorali, ma i ricorsi non producono effetti, i giudici li stanno respingendo perché mancano di sostanza e le autorità e le agenzie del governo continuano a confermare che le elezioni sono state regolari e trasparenti. “Le più sicure della storia”, dice il dipartimento per la Homeland Security che parla a nome del governo americano – mentre il capo del governo su Twitter rilancia teorie del complotto e accuse di brogli che parlano di “milioni di voti falsificati”. La marcia del milione nelle strade della capitale sarà quindi una manifestazione per esprimere un generico sostegno a Trump, che dal giorno delle elezioni ha annullato ogni impegno pubblico – quasi, è uscito per il giorno dei veterani – e si è attorcigliato in un isolamento rancoroso dentro la Casa Bianca.

 

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Nel frattempo il conteggio di voti ha assegnato in via ufficiale e definitiva l’Arizona a Biden – non andava a un democratico dal 1996 – e già aveva assegnato a Biden la Georgia. Sono due stati di tradizione repubblicana molto solida e il fatto che siano passati all’altra parte rende ancora più debole la narrazione di Trump fatta di luoghi comuni sul Partito democratico che sarebbe votato soltanto nelle enclave liberal. Ieri è arrivata anche la notizia che più di centotrenta agenti del Servizio segreto, l’agenzia che si occupa della sicurezza del presidente, sono malati di Covid-19 oppure in quarantena a causa dell’esposizione durante la campagna elettorale. 

  

In molti tra i repubblicani cominciano a chiedere che Biden possa accedere ai rapporti dell’intelligence per meglio gestire la transizione. Il presidente eletto ne avrebbe diritto, ma il rifiuto da parte di Trump di ammettere la sconfitta blocca la pratica e crea una fase di vulnerabilità per il paese. Ieri anche la Cina si è congratulata con Biden, dopo qualche giorno di silenzio centellinato per aumentare l’imbarazzo degli Stati Uniti. Manca soltanto il presidente russo Vladimir Putin, che per ora ha taciuto in nome della strategia che segue da anni: qualsiasi cosa faccia sentire l’America in crisi merita di essere amplificata il più possibile. Se gli americani non riescono a mettersi d’accordo su chi sia il loro presidente e umiliano davanti al mondo la loro tradizione democratica, perché dovrei essere io dal Cremlino a risolvere il dubbio per loro?

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