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Dossier per Biden: il cartello di generali russo-turchi che vince le guerre

Daniele Ranieri

I militari si sono spartiti Siria e Libia e hanno appena deciso la fine del conflitto nel Nagorno-Karabakh, ma non sono amici 

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A partire da gennaio il neo presidente americano, Joe Biden, dovrà affrontare molti dossier di politica estera. Alcuni li conosce da prima, altri sono cresciuti durante l’Amministrazione Trump. Tra questi ultimi, Biden dovrà fare la conoscenza con il Meccanismo di spartizione fra Russia e Turchia, che controlla aree vaste del Mediterraneo, del medio oriente e del Caucaso e che due giorni fa ha deciso come doveva finire la guerra nel Nagorno-Karabakh. Usiamo qui la definizione “Meccanismo di spartizione fra Russia e Turchia” in mancanza di definizioni migliori: non è un’alleanza, perché Erdogan e Putin non sono alleati e non si comportano come alleati; è piuttosto un cartello politico-militare che tratta alcuni paesi come fossero una torta da dividere e per ora agisce senza che nessuno riesca a opporsi. E’ il Meccanismo che lunedì sera ha deciso di far vincere gli azeri contro gli armeni dopo poco più di un mese di scontri brutali, con soddisfazione di entrambi – entrambi si intende: russi e turchi. E’ il Meccanismo che a maggio di quest’anno ha deciso la fine della guerra civile in Libia, dopo che un anno di negoziati diretti dall’Europa non avevano ottenuto nulla. Ed è lo stesso Meccanismo che gestisce il conflitto nella Siria dell’ovest – quello fra il rais siriano Bashar el Assad e i gruppi armati di Idlib – e il conflitto nella Siria dell’est, quello fra i turchi e i curdi. 

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A partire da gennaio il neo presidente americano, Joe Biden, dovrà affrontare molti dossier di politica estera. Alcuni li conosce da prima, altri sono cresciuti durante l’Amministrazione Trump. Tra questi ultimi, Biden dovrà fare la conoscenza con il Meccanismo di spartizione fra Russia e Turchia, che controlla aree vaste del Mediterraneo, del medio oriente e del Caucaso e che due giorni fa ha deciso come doveva finire la guerra nel Nagorno-Karabakh. Usiamo qui la definizione “Meccanismo di spartizione fra Russia e Turchia” in mancanza di definizioni migliori: non è un’alleanza, perché Erdogan e Putin non sono alleati e non si comportano come alleati; è piuttosto un cartello politico-militare che tratta alcuni paesi come fossero una torta da dividere e per ora agisce senza che nessuno riesca a opporsi. E’ il Meccanismo che lunedì sera ha deciso di far vincere gli azeri contro gli armeni dopo poco più di un mese di scontri brutali, con soddisfazione di entrambi – entrambi si intende: russi e turchi. E’ il Meccanismo che a maggio di quest’anno ha deciso la fine della guerra civile in Libia, dopo che un anno di negoziati diretti dall’Europa non avevano ottenuto nulla. Ed è lo stesso Meccanismo che gestisce il conflitto nella Siria dell’ovest – quello fra il rais siriano Bashar el Assad e i gruppi armati di Idlib – e il conflitto nella Siria dell’est, quello fra i turchi e i curdi. 


Il presidente Biden dovrà familiarizzare con il lavoro di uomini come il ministro della Difesa turca, l’ex generale Hulusi Akar, un azzimatissimo ufficiale che secondo fonti russe alla fine di settembre è andato di persona e con molta discrezione in Azerbaigian per guidare l’inizio dell’offensiva degli azeri nel Nagorno-Karabakh. Akar è anche l’uomo che ha diretto tutte le manovre turche nella Siria del nord, ma non è uno stratega esotico come lo era il generale iraniano Qassem Suleimani. Lavorava nell’intelligence al comando Nato di Napoli, ha studiato in un corso ufficiali negli Stati Uniti, ha guidato il contingente turco nella missione Nato in Afghanistan, ha preso la Legione al merito, un’onorificenza militare americana piuttosto rara. Oppure con il lavoro dell’occhialuto generale turco Irfan Ozsert, che con ancora più discrezione due estati fa è andato a Tripoli, in Libia, e per conto di Erdogan ha vinto la guerra civile – dove l’Italia invece non riesce nemmeno a recuperare i suoi pescatori sequestrati da due mesi. Sono questi generali turchi assieme alle controparti russe a gestire – o spadroneggiare, a seconda dei punti di vista – settori importanti. E lo fanno a dispetto dei guai economici che hanno in casa, perché hanno inventato un modo cheap di fare la guerra al risparmio che è cinico ma imbattibile. Arruolano mercenari disperati, siriani o sudanesi non importa, fanno un uso spietato dei bombardamenti aerei, sono molto riluttanti nelle dichiarazioni e sfrenati a livello operativo sul terreno.  


L’Amministrazione Biden dovrà conoscere le sfumature di questa situazione. Turchi e russi non sono amici e spesso si mandano segnali terrificanti per minacciarsi a vicenda: la settimana scorsa la Russia ha bombardato le basi di alcuni gruppi ribelli in Siria che prendono ordini direttamente dalla Turchia; due giorni fa gli azeri alleati dei turchi hanno abbattuto per errore – dicono – un elicottero russo vicino al confine armeno. I droni turchi in Libia hanno dato la caccia con successo ai mercenari russi della compagnia Wagner. Però poi succede che fanno accordi e si spartiscono il territorio. Adesso duemila soldati russi arriveranno nel Nagorno-Karabakh a fare da peacekeeper, il ministro turco Akar non figura ufficialmente nell’accordo di pace ma è lui che lo ha negoziato per conto del presidente Erdogan. Per contro, la tregua mediata dal segretario di Stato americano, Mike Pompeo, il 25 ottobre era durata soltanto poche ore. In Siria è lo stesso: pattuglie miste di soldati turchi e russi sorvegliano i fronti e fanno rispettare le tregue locali – fino a quando i capi non decideranno altrimenti. L’America di Biden dovrà misurarsi con questo Meccanismo russo-turco. Intanto però a Washington, alla domanda se il Dipartimento di Stato collaborerà per una transizione liscia con il presidente Biden, il segretario di Stato Pompeo ha risposto: “Ci sarà una transizione liscia con la seconda Amministrazione Trump”. 
 

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