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Da Mélenchon a Le Pen. I (vecchi) candidati alle nuove presidenziali in Francia

Mauro Zanon

Il leader della France insoumise ha annunciato la sua candidatura alle elezioni del 2022, seguendo di qualche mese la presidente del Rassemblement national. Nella macronia, intanto, sono tre le candidature sotto stretta sorveglianza

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“Sì, sono pronto. Propongo la mia candidatura. Ho un programma, una squadra pronta a governare. Il 2022 è il momento di cambiare”. Jean-Luc Mélenchon, leader della France insoumise, il partito della sinistra radicale francese, ha ufficializzato domenica sera la sua candidatura alle presidenziali del 2022. “La società è in una situazione di impasse. Abbiamo i mezzi per innovare, per fare le cose diversamente, per abolire la monarchia presidenziale. Sono un polo di stabilità”, ha affermato Mélenchon in diretta su Tf1. La sua candidatura, ha precisato, sarà sottomessa a un’“investitura popolare”: almeno 150mila persone, attraverso un’apposita piattaforma, “Nous sommes pour”, dovranno sostenere la sua terza candidatura alle presidenziali, dopo quella del 2012 e del 2017, altrimenti si farà da parte. Il non raggiungimento della soglia che lo stesso Mélenchon si è prefissato, tuttavia, non sembra essere un pericolo, alla luce dei due milioni di abbonati al suo account Twitter e dei 500mila tesserati della France insoumise.

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“Sì, sono pronto. Propongo la mia candidatura. Ho un programma, una squadra pronta a governare. Il 2022 è il momento di cambiare”. Jean-Luc Mélenchon, leader della France insoumise, il partito della sinistra radicale francese, ha ufficializzato domenica sera la sua candidatura alle presidenziali del 2022. “La società è in una situazione di impasse. Abbiamo i mezzi per innovare, per fare le cose diversamente, per abolire la monarchia presidenziale. Sono un polo di stabilità”, ha affermato Mélenchon in diretta su Tf1. La sua candidatura, ha precisato, sarà sottomessa a un’“investitura popolare”: almeno 150mila persone, attraverso un’apposita piattaforma, “Nous sommes pour”, dovranno sostenere la sua terza candidatura alle presidenziali, dopo quella del 2012 e del 2017, altrimenti si farà da parte. Il non raggiungimento della soglia che lo stesso Mélenchon si è prefissato, tuttavia, non sembra essere un pericolo, alla luce dei due milioni di abbonati al suo account Twitter e dei 500mila tesserati della France insoumise.

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La mossa del guru giacobino, e la tempistica dell’annuncio, vanno lette piuttosto come uno sgambetto ai concorrenti del suo campo politico, a partire dall’ex ministro del Rilancio produttivo, il socialista protezionista Arnaud Montebourg. Quest’ultimo, infatti, è tornato con gran clamore a far parlare di sé con un libro che ha il sapore di un programma presidenziale: “L’engagement”. “L’obiettivo del suo libro è liberarsi dall’immagine di ministro di François Hollande. Ora deve dare l’immagine di un candidato potenziale, determinato a difendere i francesi e lontano dalla sua immagine di dandy”, ha sussurrato al Figaro un beninformato. Montebourg era il grande nemico di Macron ai tempi della presidenza Hollande, il profeta della “démondialisation”, ostile al libero scambio e a tutto ciò che faceva rima con liberale. “La verità è che i francesi hanno votato per la sinistra e si sono ritrovati con il programma della destra tedesca”, dichiarò in una celebre intervista sugli Inrockuptibles. Accanto a Montebourg, a menare sciabolate contro “l’ordo-liberismo tedesco” di Hollande – sì, disse proprio così – c’era anche l’economista Thomas Piketty, un altro che cova sogni di gloria in vista del 2022.

 

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Come Mélenchon, anche Marine Le Pen, presidente del Rassemblement national, il partito della destra identitaria, ha ufficializzato in largo anticipo la sua terza candidatura alle presidenziali. Lo ha fatto lo scorso gennaio, prima di tutti gli altri, e con la stessa volontà mélenchonista di soffocare le ambizioni di chi negli ambienti sovranisti vorrebbe salire all’Eliseo. “Sarò al servizio dei francesi fino a quando avranno bisogno di me e fino a quando riuscirò a radunare il maggior numero di elettori possibile attorno al progetto che il Rn difende. Se domani ci sarà un candidato capace di allargare ancor di più questo bacino elettorale, non avrò difficoltà a cedergli il posto”, ha detto al Foglio la scorsa settimana la paladina del sovranismo francese. La base del Rn sembra già rassegnata alla terza sconfitta di Marine, e guarda oltre il 2022, verso quella Marion Maréchal che continua a incassare endorsement e patenti di credibilità. L’ultima benedizione è arrivata da Jean Messiha, ideologo e pilastro del Rn fino a mercoledì scorso, quando su Valeurs Actuelles ha annunciato la sua uscita di scena dal partito sovranista. Messiha, paragonando il Rn a “una squadra di calcio che ha molti tifosi e un allenatore pieno di buona volontà, ma che non vince o lo fa molto raramente”, ha pronunciato parole al miele nei confronti di Marion, lanciando al contrario frecciate velenose in direzione della zia. Nella destra post-gollista, orfana di leader carismatici dai tempi di Sarkozy, regna oggi un clima di mestizia, e si cambia rapidamente discorso quando viene affrontata la questione presidenziali 2022. François Baroin, ex ministro dell’Economia e attuale presidente dell’Associazione dei sindaci di Francia, sembrava essersi deciso a riscattare l’orgoglio gollista, ferito dallo scandalo Fillon e da anni di lotte fratricide. Ma ad ottobre, improvvisamente, ha abdicato. “Il ruolo non mi affascina”, ha detto Baroin. A difendere i colori dei Républicains, potrebbe allora essere Xavier Bertrand, presidente della regione Hauts-de-France, un nome che tuttavia non scalda i cuori.

 

Il presidente Macron, per ora, ha altri dossier a cui pensare, ma ha già affidato a una squadra di fedelissimi la stesura del piano di battaglia 2022. Nella macronia, intanto, sono tre le candidature sotto stretta sorveglianza: una sicura, quella di Yannick Jadot, leader degli ecologisti di Eelv; una quasi sicura, quella del general Pierre de Villiers, ex capo di stato maggiore degli eserciti; una difficile, ma non impossibile e di certo la più pericolosa: quella di Anne Hidalgo, sindaca di Parigi molto apprezzata e unica figura capace di unire verdi e sinistra.  

 

 

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