Thomas Piketty (foto LaPresse)

Le ambizioni (presidenziali?) di Piketty

Mauro Zanon

L’economista pop si prepara al film sul suo “Capitale” dicendo la sua su tutto, basta che sia contro Macron

Parigi. Thomas Piketty è ovunque. Lo senti alla radio la mattina mentre dice che Macron ha aumentato le tasse, anche se l’attuale presidente francese è l’unico che le ha abbassate degli ultimi inquilini dell’Eliseo, e se c’è una persona che in questo momento le vorrebbe aumentare questa è proprio Piketty. Lo trovi su France 24 a sdottorare di diseguaglianze e su France Info a dire che i ricchi “devono fare più sforzi”, invocando patrimoniali e supergabelle, un po’ come quella che aveva suggerito all’ex président François Hollande, la famosa aliquota al 75 per cento sui redditi sopra un milione di euro che aveva fatto fuggire con gran clamore Gérard Depardieu e gli altri. Sarà che fra una settimana esce nelle sale l’adattamento cinematografico del suo “Capitale nel XXI secolo”, sarà che a sinistra c’è il vuoto tra un Partito socialista a pezzi e una France insoumise che flirta con gli estremisti, ma Piketty sembra aver ingranato una marcia in più e aver assunto una posa jupitérienne, quasi da presidenziabile, o comunque da economista pop con ambizioni politiche.

 

Da anni è la guida del fronte gauchiste anti macroniano, ma se fino a poco tempo fa lo sentivamo esprimersi soltanto in materia economica, ora dà la sua opinione su tutto, Piketty. Sul Monde ha messo la firma nel weekend su una tribune all’insegna del pentimento contro l’occidente brutto e cattivo, che dovrebbe pagare i suoi debiti per il passato “coloniale e schiavista”: “Riparare la storia” rivoluzionando il sistema economico. “Per riparare la società dai danni del razzismo e del colonialismo, bisogna cambiare il sistema economico, avendo come base la riduzione delle diseguaglianze e un accesso egualitario di tutte e di tutti all’istruzione, al lavoro e alla proprietà (anche con un’eredità minima), indipendentemente dalle origini, per i neri e per i bianchi. La mobilitazione che oggi riunisce cittadini di ogni provenienza può dare un contribuito in questa direzione”, scrive Piketty, schierandosi dalla parte di Haiti, che oggi chiede quasi 30 miliardi di dollari alla Francia per “riparare” i danni della schiavitù.

 

L’economista, nel suo intervento, lascia anche intendere che i vandali che in giro per il mondo abbattono le statue simbolo di un certo passato non sono così vandali, e che bisognerebbe soltanto aprire un dibattito per “fissare la frontiera tra le buone e le cattive statue”. “Non abbiamo altra scelta se non quella di dare fiducia alla deliberazione democratica per tentare di fissare delle regole e dei criteri giusti. Rifiutare la discussione significa perpetuare l’ingiustizia”, spiega Piketty. Una posizione radicalmente opposta a quella del presidente Macron, che domenica sera, durante il suo discorso alla nazione, ha dichiarato che “la République non cancellerà alcuna traccia o nome della sua storia, non abbatterà nessuna statua”, perché i francesi devono guardare “lucidamente, insieme, la propria storia, la propria memoria” per costruire “un possibile presente e futuro su entrambe le sponde del Mediterraneo”. Non c’è solo Michel Onfray, il filosofo libertario che ha appena lanciato la sua rivista, Front populaire, e punta a riunire sotto un unico tetto i populisti di sinistra e di destra in vista delle presidenziali 2022. Anche Piketty, ora, è da tenere d’occhio.

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