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"basta cambiare l'insegna"

L'ambasciata segreta di Israele in Bahrein

La nuova visione del mondo arabo e la normalizzazione con lo stato ebraico che non è più un tabù

Micol Flammini

I due paesi si stavano avvicinando da tempo, senza darlo a vedere. Barak Ravid, giornalista di Axios, racconta la missione diplomatica di Gerusalemme a Manama iniziata undici anni fa

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Ieri i media israeliani davano la notizia di un nuovo accordo formale firmato tra Israele e Bahrein, che questa volta riguarda i voli regolari tra i due paesi: ognuna delle due nazioni potrà effettuare fino a quattordici voli settimanali tra l’aeroporto Ben Gurion e l’aeroporto internazionale del Bahrein, i voli tra Manama ed Eilat saranno invece illimitati. E’ un passo avanti ulteriore rispetto alla normalizzazione delle relazioni tra i due stati, annunciata il mese scorso dal presidente americano Donald Trump. Questo cambiamento degli equilibri tra paesi arabi e Israele – i primi a decidere di normalizzare i propri rapporti con Gerusalemme sono stati gli Emirati Arabi Uniti ed era agosto – è frutto di un lungo lavoro, non soltanto da parte delle amministrazioni americane ma soprattutto tra le due nazioni. Lo sforzo andava avanti da diverso tempo: questo guardarsi, studiarsi, aspettare è rimasto segreto per almeno undici anni, come racconta la storia della “ambasciata segreta di Israele in Bahrein”.  

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Ieri i media israeliani davano la notizia di un nuovo accordo formale firmato tra Israele e Bahrein, che questa volta riguarda i voli regolari tra i due paesi: ognuna delle due nazioni potrà effettuare fino a quattordici voli settimanali tra l’aeroporto Ben Gurion e l’aeroporto internazionale del Bahrein, i voli tra Manama ed Eilat saranno invece illimitati. E’ un passo avanti ulteriore rispetto alla normalizzazione delle relazioni tra i due stati, annunciata il mese scorso dal presidente americano Donald Trump. Questo cambiamento degli equilibri tra paesi arabi e Israele – i primi a decidere di normalizzare i propri rapporti con Gerusalemme sono stati gli Emirati Arabi Uniti ed era agosto – è frutto di un lungo lavoro, non soltanto da parte delle amministrazioni americane ma soprattutto tra le due nazioni. Lo sforzo andava avanti da diverso tempo: questo guardarsi, studiarsi, aspettare è rimasto segreto per almeno undici anni, come racconta la storia della “ambasciata segreta di Israele in Bahrein”.  

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Barak Ravid è un giornalista del sito americano Axios e ha da poco lanciato la sua newsletter dedicata a Israele in cui dentro si leggono storie, indiscrezioni e notizie. Ravid racconta che i negoziati, rimasti segreti per volere dei governi,  su una potenziale missione diplomatica  tra i due paesi sono iniziati tra il 2007 e il 2008, a portarli avanti erano l’allora ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, e il suo omologo del Bahrein, Khaled Bin Ahmad al Khalifa. Dice il giornalista, che ha ricostruito tutta la vicenda parlando con fonti israeliane e bahreinite, che in quel periodo il Qatar, rivale regionale del Bahrein, aveva disposto la chiusura della missione diplomatica israeliana a Doha, e questo aveva spinto il Bahrein ad approvare l’avvio di una missione segreta a Manama. Il giornalista fa una ricostruzione molto precisa: era il 13 luglio del 2009, quando veniva registrata in Bahrein una società chiamata “The Center for International Development”. 

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La società offriva servizi di marketing, pubblicità, consulenze, rivolti soprattutto alle aziende occidentali interessate a investimenti su tecnologie mediche, energie rinnovabili, sicurezza alimentare e informatica nella zona. Così appariva nei registri pubblici e sul sito della società, che poi nel 2013 ha cambiato nome. Il nome non può essere rivelato, ma si trattava di una copertura per la missione diplomatica israeliana che, racconta Ravid, assumeva “un tipo di dipendente molto specifico: diplomatici israeliani con doppia nazionalità”. Tra gli azionisti e il consiglio di amministrazione della compagnia c’erano attuali consoli e membri del governo, i diplomatici avevano tutti delle storie di copertura (“supportate da profili Linkedin poco convincenti”, scrive Ravid), e un piccolo gruppo di funzionari del Bahrein sapeva tutto. Per gli altri, il “Center for International Development” era una società regolarmente registrata. La missione diplomatica segreta è servita in questi anni a promuovere gli affari delle società israeliane, ma è stata usata anche come canale di comunicazione per il governo di Gerusalemme, era un lavorio continuo che ha contribuito alla firma dell’accordo annunciato da Trump.

 

Domenica scorsa al ministro degli Esteri del Bahrein, lo stesso Khaled Bin Ahmad al Khalifa che seguiva i primi incontri riservati, è arrivata la richiesta di aprire una vera ambasciata di Israele a Manama. Non servirebbero grandi spostamenti, l’infrastruttura esiste già, funziona da anni, serve soltanto farla uscire dalla segretezza. “Tutto quello che dobbiamo fare è cambiare l’insegna sulla porta”, ha detto un funzionario israeliano a Ravid, la parte più difficile è già stata fatta. 

 

Senza darlo troppo a vedere, Israele e i paesi arabi si stavano avvicinando da tempo, gli accordi detti di Abramo tra Emirati Arabi e Bahrein sono un successo di Trump, ma oltre a cambiare in modo radicale la visione del medio oriente, indicano che la normalizzazione dei rapporti con Gerusalemme, un tempo respinta per principio, non è più un tabù. Gli accordi hanno innescato un effetto domino che ha subito interessato il Sudan. Alcuni paesi stanno aspettando l’esito delle elezioni americane per muoversi, ma anche l’Arabia Saudita ha dato sostegno politico alla decisione dei suoi  vicini e ha consentito agli aerei di linea israeliani di usare il suo spazio aereo. Il Marocco attende di vedere chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. L’Oman ha relazioni non ufficiali con Gerusalemme di lunga data, il Qatar ha già contatti frequenti, ma il suo rapporto con emiratini, sauditi e bahreiniti rende la decisione molto complicata per Israele stessa. 

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