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Il governo francese contro il cyberislamismo

Da Pharos alla riunione con i big tech

Mauro Zanon

L'attentato che ha portato alla decapitazione di Samuel Paty è nato sul web. L'account twitter dell'uccisore ceceno era già stato segnalato. Ora i ministri di Macron studiano le contromisure. E si appellano agli utenti dei social

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Brahim Chnina, il padre di famiglia autore del video in cui definiva Samuel Paty “un delinquente” per aver mostrato le caricature di Maometto, e Abdoullakh Anzorov, il terrorista ceceno che ha ucciso e decapitato l’insegnante di storia e geografia del collège du Bois d’Aulne, si erano scambiati dei messaggi via Whatsapp nei giorni precedenti all’attentato. Sul suo account Twitter, @Tchétchène_270, Anzorov pubblicava regolarmente dei contenuti che inneggiavano al jihad, alla punizione degli infedeli, al martirio. Ed è su Facebook che la “fatwa” del predicatore islamista Abdelhakim Sefrioui, lanciata con un filmato girato davanti alla scuola di Paty, ha raccolto consensi e condivisioni. L’attacco terroristico di venerdì scorso è nato sul web, figlio del cyberislamismo contro cui la ministra francese delegata alla Cittadinanza, Marlène Schiappa, vuole combattere con maggiore efficacia, migliorando anzitutto il ruolo di Pharos, la piattaforma di segnalazioni di contenuti illeciti o pubblicazioni che veicolano messaggi di odio. 

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Brahim Chnina, il padre di famiglia autore del video in cui definiva Samuel Paty “un delinquente” per aver mostrato le caricature di Maometto, e Abdoullakh Anzorov, il terrorista ceceno che ha ucciso e decapitato l’insegnante di storia e geografia del collège du Bois d’Aulne, si erano scambiati dei messaggi via Whatsapp nei giorni precedenti all’attentato. Sul suo account Twitter, @Tchétchène_270, Anzorov pubblicava regolarmente dei contenuti che inneggiavano al jihad, alla punizione degli infedeli, al martirio. Ed è su Facebook che la “fatwa” del predicatore islamista Abdelhakim Sefrioui, lanciata con un filmato girato davanti alla scuola di Paty, ha raccolto consensi e condivisioni. L’attacco terroristico di venerdì scorso è nato sul web, figlio del cyberislamismo contro cui la ministra francese delegata alla Cittadinanza, Marlène Schiappa, vuole combattere con maggiore efficacia, migliorando anzitutto il ruolo di Pharos, la piattaforma di segnalazioni di contenuti illeciti o pubblicazioni che veicolano messaggi di odio. 

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Dal 2009, anno della sua creazione, Pharos permette a qualsiasi persona di segnalare alle autorità i contenuti contrari alla legge che vede passare su internet, non solo sui social, ma anche sui siti e sui blog. Pedofilia, corruzione di minori, incitamento alla violenza e all’odio razziale, minacce, traffici illeciti, ma anche truffe finanziarie rientrano nei contenuti che gli internauti e i provider possono denunciare in pochi clic. Pharos dipende dall’Ufficio centrale della lotta contro la criminalità legata alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che a sua volta è sotto tutela della Direzione centrale della polizia giudiziaria. Le pubblicazioni segnalate vengono prima analizzate da agenti della polizia e della gendarmeria, poi, se il carattere illecito viene confermato, passano sotto il setaccio dei servizi competenti. In caso di apologia di terrorismo, è la Dgsi, l’intelligence interna parigina, a incaricarsi dei dossier. Il problema è che la piattaforma, a più riprese, non si è rivelata efficace in questi undici anni: per via delle troppe segnalazioni, aumentate in maniera esponenziale dopo gli attacchi jihadisti di Charlie Hebdo e dell’Hyper Cacher, a causa della mancanza di coordinamento tra i vari servizi coinvolti, ma anche per colpa di una certa superficialità, come nel caso dell’attentatore di Conflans-Sainte-Honorine. 

 

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Il sito di inchieste Mediapart ha rivelato la scorsa settimana che l’account Twitter del terrorista ceceno era già stato oggetto di una segnalazione su Pharos il 27 luglio. Era stata la Licra, la Ligue internationale contre le racisme et l’antisemitisme, a reperire su Twitter un messaggio antisemita di Anzorov, che qualificava gli ebrei come “popolo maledetto”. L’account era stato segnalato anche a fine agosto per un fotomontaggio che metteva in scena una decapitazione, e bastava dare un’occhiata ad alcuni suoi follower sulfurei, come “MartyrFassi”, per capire che bisognava effettuare un controllo più approfondito. “Se avessimo preso in considerazione le segnalazioni dell’aggressore, forse l’insegnante sarebbe ancora vivo”, ha commentato su France Info l’avvocato e saggista Jean-Pierre Mignard. 

 

Il ministro della Giustizia, Éric Dupond-Moretti, ha detto che su internet circolano “molte cose di quella natura”, evocando la “necessità di lavorare sulla questione”. Lavoro che è già sta avviato dalla Schiappa che ieri ha riunito nel suo ministero i rappresentanti di Facebook, Twitter e Whatsapp per affrontare la questione del cyberislamismo e mettere a punto una strategia comune. “Il governo non può far tutto da solo”, ha dichiarato su Rtl la Schiappa, prima di aggiungere: “Voglio che ci sia lo stesso livello di mobilitazione sui social network. Non posso accettare che dei ragazzini vedano video di lapidazioni, decapitazioni, foto terribili o che vengano indottrinati”. Anche i social, ha affermato la Schiappa, devono “assumersi le loro responsabilità”. 

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