PUBBLICITÁ

Israele ha un piano in otto fasi per uscire dal secondo lockdown

Beatrice Guarrera

Scuole primarie e sinagoghe si preparano i riaprire. Ma per la fine completa delle restrizioni bisognerà aspettare fino a gennaio

PUBBLICITÁ

Gerusalemme. Dopo un mese di chiusura totale del paese, Israele prova a ripartire con una nuova strategia per emergere dal secondo lockdown. Secondo quanto deciso dal ministero della Salute, sarà un allentamento delle restrizioni graduale in otto fasi quello che restituirà agli israeliani, per quanto possibile, la vita di sempre. Dal 18 settembre era vietato allontanarsi più di un chilometro dalle proprie abitazioni, se non per una ragione di comprovata necessità e, nonostante l’occorrenza delle feste ebraiche, tempo di riunioni familiari, era proibito visitare parenti e amici. A distanza di un mese, il governo ha dato l’autorizzazione di sospendere queste misure, oltre che di permettere la riapertura delle scuole materne, delle attività commerciali che non prevedono un contatto con il pubblico, di spiagge e parchi. Ai ristoranti è permesso il servizio d’asporto e sono state sospese le limitazioni alle manifestazioni di protesta. Non sarà così, però, in alcune zone rosse, ad alto tasso di contagio, abitate da un gran numero di ebrei ultraortodossi, restii ad accettare le restrizioni e colpiti dalla pandemia in modo consistente. Secondo il Prof. Hezi Levi, Direttore Generale del ministero della Salute, infatti, il 34 per cento dei casi di coronavirus in Israele viene dalla comunità Haredim.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Gerusalemme. Dopo un mese di chiusura totale del paese, Israele prova a ripartire con una nuova strategia per emergere dal secondo lockdown. Secondo quanto deciso dal ministero della Salute, sarà un allentamento delle restrizioni graduale in otto fasi quello che restituirà agli israeliani, per quanto possibile, la vita di sempre. Dal 18 settembre era vietato allontanarsi più di un chilometro dalle proprie abitazioni, se non per una ragione di comprovata necessità e, nonostante l’occorrenza delle feste ebraiche, tempo di riunioni familiari, era proibito visitare parenti e amici. A distanza di un mese, il governo ha dato l’autorizzazione di sospendere queste misure, oltre che di permettere la riapertura delle scuole materne, delle attività commerciali che non prevedono un contatto con il pubblico, di spiagge e parchi. Ai ristoranti è permesso il servizio d’asporto e sono state sospese le limitazioni alle manifestazioni di protesta. Non sarà così, però, in alcune zone rosse, ad alto tasso di contagio, abitate da un gran numero di ebrei ultraortodossi, restii ad accettare le restrizioni e colpiti dalla pandemia in modo consistente. Secondo il Prof. Hezi Levi, Direttore Generale del ministero della Salute, infatti, il 34 per cento dei casi di coronavirus in Israele viene dalla comunità Haredim.

PUBBLICITÁ

 

“Il lockdown è stato un grande successo”, ha dichiarato venerdì il primo ministro Benjamin Netanyahu. I numeri ufficiali, che avevano toccato picchi di oltre undici mila nuovi casi solo il 23 settembre, dicono che i casi sono scesi a soli 339 nuovi infetti il 18 ottobre. Israele è stato il primo paese al mondo ad aver adottato la drastica misura di un secondo lockdown per contenere la crisi sanitaria, eppure i due momenti di chiusura non sembrano paragonabili. In questo secondo lockdown la percezione comune è stata quella di una maggiore indulgenza nei controlli per il rispetto delle restrizioni. Le immagini scattate per le strade della città, nonostante la desolazione dei negozi chiusi, mostrano infatti, strade non propriamente vuote, anche per la possibilità di effettuare attività sportiva di qualsiasi tipo senza il vincolo di un chilometro dalla propria abitazione. Durante tutto il lockdown la maggioranza dei checkpoint che dividono Israele dalla Cisgiordania sono rimasti aperti, permettendo di fatto ai palestinesi o agli internazionali di passare da una parte all’altra del muro di separazione. In Israele si era in pieno lockdown, in Cisgiordania nel pieno della ripresa delle attività commerciali, con negozi e bar aperti e affollati.

 

PUBBLICITÁ

La seconda fase di uscita dal lockdown dovrebbe incominciare il primo novembre con la riapertura delle scuole primarie e delle sinagoghe, mentre nella terza fase a metà novembre potranno riaprire negozi che hanno contatto con il pubblico, centri commerciali e mercati. A fine novembre (quarta fase) verranno ammessi clienti in ristoranti e caffè e a metà dicembre torneranno a funzionare piscine, palestre e alberghi. Nella sesta tappa, a fine dicembre, si prevede di riaprire ai visitatori musei e luoghi di intrattenimento. Ai primi di gennaio, invece, gli studenti di tutti i gradi potranno tornare a scuola e nella fase finale, a fine gennaio, saranno autorizzati eventi sportivi con il pubblico e la riapertura di club e bar. Quello messo in campo da Israele è un piano per tappe molto fragile. Le scuole ultraortodosse hanno infatti annunciato la riapertura, nonostante le restrizioni. “Sembra che saremo costretti a passare da un lockdown all’altro per molti mesi”, ha affermato domenica un alto funzionario della Sanità, commentando il rifiuto di rispettare la chiusura. Dopo il secondo lockdown in Israele c’è stato un altro picco di disoccupazione. Secondo un rapporto pubblicato dal Servizio per l’Impiego israeliano domenica, quasi un milione di persone sono senza lavoro, di cui la metà hanno meno di 34 anni. Un dato incoraggiante arriva invece dalle aziende: le chiusure di attività sono diminuite di un terzo nei primi otto mesi dell’anno, rispetto allo stesso periodo del 2019. Che i piccoli imprenditori rimangano aperti per la possibilità di ricevere gli aiuti del governo – che a settembre ammontavano a 36 miliardi di shekel (10,6 miliardi di dollari) – o nella speranza reale di ripartire, non è ancora dato saperlo.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ