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Meno corro, più ti supero

Daniele Ranieri

Biden è dieci punti sopra perché lascia Trump a farsi male da solo sotto i riflettori e a portare gli americani verso la saturazione. Ci vuole un carattere corazzato per questa manovra, lui se l’è fatto con la sua storia

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La prima mossa di “Sleepy Joe” Biden per battere Trump alle elezioni presidenziali è farsi vedere di meno. E’ una cosa che può suonare controintuitiva e in condizioni normali un candidato dovrebbe fare di tutto per essere presente, per farsi notare e per cercare di offuscare la presenza dell’avversario. Il bravo candidato poi dovrebbe fare di più, dovrebbe essere ubiquo e gettarsi prima nei comizi e poi in mezzo alla gente a mangiare hamburger e poi ancora in televisione a parlare di disoccupazione e di Iran. Ma queste non sono condizioni normali, Biden lo ha capito e ha scelto di partecipare con moderazione alla campagna presidenziale più importante dell’era moderna degli Stati Uniti (con annessa pandemia). Trump lo ha preso in giro per questo, lo ha chiamato Joe Hidin’ – Joe che si nasconde – ma è sotto di dieci punti percentuali e gli tocca inseguire.

Così tutte le volte che il presidente riempie i notiziari e conquista il centro dell’attenzione per un qualsiasi motivo, quindi ogni mattina, la campagna dei democratici si ritrae e gli lascia spazio. Gli uomini di Biden sono convinti, non a torto, che mandare Trump da solo sul palcoscenico ad autosabotarsi davanti alla nazione sia più produttivo che sfidarlo. Trump scrive roba demenziale su Twitter? Lo staff di Biden scrive cose tiepidissime e vaghe, che non ruberanno un secondo di attenzione e non diventeranno mai un titolo di giornale. Un account parodia di Biden se ne è accorto e scrive finti tweet come questo: “Sapete qual è il guaio con il tè? Che prima lo devi scaldare e poi devi aspettare che si raffreddi”. Trump finisce in ospedale e torna, si affaccia dal balcone e si toglie la mascherina, balla ai comizi e dice che il Covid è stata “una benedizione dal cielo”? I bideniani non fanno controprogrammazione. Loro speravano fin dall’inizio che il voto diventasse un referendum su Trump e che non si parlasse di temi specifici. Trump li accontenta, perché è più forte di lui. Aveva persino pensato di uscire dall’ospedale e, in piena euforia da steroidi, di levarsi la camicia per mostrare sotto una maglietta da Superman. Alla fine questa gag non l’ha fatta e alla campagna elettorale di Biden devono essere morti di delusione. Non sono sleepy, sono perfidi. La maglietta di Superman valeva almeno un altro paio di giorni di copertura totale per Trump mentre il paese va verso il punto di saturazione. 

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La prima mossa di “Sleepy Joe” Biden per battere Trump alle elezioni presidenziali è farsi vedere di meno. E’ una cosa che può suonare controintuitiva e in condizioni normali un candidato dovrebbe fare di tutto per essere presente, per farsi notare e per cercare di offuscare la presenza dell’avversario. Il bravo candidato poi dovrebbe fare di più, dovrebbe essere ubiquo e gettarsi prima nei comizi e poi in mezzo alla gente a mangiare hamburger e poi ancora in televisione a parlare di disoccupazione e di Iran. Ma queste non sono condizioni normali, Biden lo ha capito e ha scelto di partecipare con moderazione alla campagna presidenziale più importante dell’era moderna degli Stati Uniti (con annessa pandemia). Trump lo ha preso in giro per questo, lo ha chiamato Joe Hidin’ – Joe che si nasconde – ma è sotto di dieci punti percentuali e gli tocca inseguire.

Così tutte le volte che il presidente riempie i notiziari e conquista il centro dell’attenzione per un qualsiasi motivo, quindi ogni mattina, la campagna dei democratici si ritrae e gli lascia spazio. Gli uomini di Biden sono convinti, non a torto, che mandare Trump da solo sul palcoscenico ad autosabotarsi davanti alla nazione sia più produttivo che sfidarlo. Trump scrive roba demenziale su Twitter? Lo staff di Biden scrive cose tiepidissime e vaghe, che non ruberanno un secondo di attenzione e non diventeranno mai un titolo di giornale. Un account parodia di Biden se ne è accorto e scrive finti tweet come questo: “Sapete qual è il guaio con il tè? Che prima lo devi scaldare e poi devi aspettare che si raffreddi”. Trump finisce in ospedale e torna, si affaccia dal balcone e si toglie la mascherina, balla ai comizi e dice che il Covid è stata “una benedizione dal cielo”? I bideniani non fanno controprogrammazione. Loro speravano fin dall’inizio che il voto diventasse un referendum su Trump e che non si parlasse di temi specifici. Trump li accontenta, perché è più forte di lui. Aveva persino pensato di uscire dall’ospedale e, in piena euforia da steroidi, di levarsi la camicia per mostrare sotto una maglietta da Superman. Alla fine questa gag non l’ha fatta e alla campagna elettorale di Biden devono essere morti di delusione. Non sono sleepy, sono perfidi. La maglietta di Superman valeva almeno un altro paio di giorni di copertura totale per Trump mentre il paese va verso il punto di saturazione. 

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Giovedì il presidente ha detto di nuovo in tv che lui non sa cos’è QAnon – il culto demenziale e pericoloso che imperversa negli Stati Uniti – ma che li apprezza perché combattono contro la pedofilia (è un equivoco, QAnon non combatte contro la pedofilia: accusa tutti i nemici di Trump di essere pedofili). La giornalista che gli faceva la domande gli ha chiesto perché si comporta “come uno zio pazzo” quello che alle riunioni di famiglia blatera di complotti. Poi il giorno dopo il presidente ha gridato davvero al complotto e ha citato un articolo di BumbleBee, che però è un sito satirico, come se qualcuno in Italia citasse Lercio come fonte. Giovedì su un altro canale alla stessa ora Biden faceva la parte del politico tranquillo e noioso, per far vedere la differenza. “Io non sono lui” è il motto non ufficiale con il quale conta di vincere.
 
La seconda mossa di Biden per battere Trump è: corre controvoglia. Hillary Clinton moriva dalla voglia di diventare presidente, aveva pianificato molto, aveva caricato la campagna di tutto un simbolismo extra – la prima donna che sfonda il soffitto di vetro. Invece l’ex vicepresidente è un uomo addolorato che non ha l’aria di smaniare per andare alla Casa Bianca. E’ entrato molto tardi nella corsa elettorale perché non riusciva a decidersi se farla davvero. Ha già detto che se diventa presidente farà soltanto il primo mandato. In un bel ritratto appena uscito sul New Statesman Emily Tamkin scrive: “Il dolore è un tema inevitabile della vita politica di Biden. Parla spesso di come lui sa cosa vuol dire provarlo. ‘Per quelli che sono passati per il tipo di perdite che ha avuto lui, è una cosa che diventa centrale per come si vedono nel mondo’ – mi ha detto uno del suo staff – ‘Anche quando non stai parlando di dolore, lo puoi sentire in sottofondo qualsiasi cosa stia facendo’”. Quando Biden nel 1972 divenne il più giovane senatore eletto nella storia del paese andò a Washington a mettere assieme una squadra di collaboratori. Ricevette una telefonata, la moglie e la figlia erano morte in un incidente stradale mentre andavano a fare lo shopping di Natale, i figli Beau e Hunter se l’erano cavata, erano feriti ma vivi. Nel 2015 Beau, che era considerato il suo erede politico, è morto per un tumore al cervello e lui che stava per unirsi alla corsa elettorale del 2016 si ritirò per il dolore. Trump se perde le elezioni si trova in un mare di guai giudiziari e di debiti da saldare. A Hillary Clinton si è spezzato il cuore per l’ambizione e gli elettori, che sono crudeli, l’avevano capito. Biden da questo punto di vista è invulnerabile, non morirà di crepacuore nel caso qualche stato gli volti le spalle. Se perde le elezioni andrà a farsi una birra e tornerà nel Delaware e poi saranno affari degli americani, lui ha corso il tratto che sentiva di dover correre. Non ha l’aria di uno che si strugge per il posto, non c’è aria di trionfo personale, anzi c’è una certa stanchezza. Giovedì in tv un elettore a caso del pubblico gli ha chiesto: “Cosa vorrà dire se perdi?”. “Potrebbe voler dire che sono un pessimo candidato, che non ho fatto un buon lavoro – ha detto lui – Ma spero che non voglia dire che (come americani) siamo così razzialmente, etnicamente e religiosamente in disaccordo come il presidente vuole che siamo”. 

 

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La terza mossa di Biden per battere Trump è questa: è relatable in quello che fa. Relatable vuol dire che le persone ci si riconoscono. Con Trump no, non può succedere, Trump è una singolarità, un caso eccezionale in tutto l’universo e lui stesso non perde occasione per ricordarlo a chiunque. “Nessun generale sa meglio di me come si fa una guerra”, come disse una volta, ma ci sono altre centomila citazioni possibili. Nessuno fa qualcosa come lui e nessuno ne sa più di lui. E’ un magnate newyorchese con una propensione temeraria a pilotare debiti da spavento, è una star del gossip con una carriera televisiva fulminante, è un candidato politico che ha sbaragliato tutti, è un presidente indimenticabile. Jet privati. Pornostar che lo sculacciano con una rivista che ha sulla copertina la foto della sua faccia. Non è relatable, un quarto d’ora della vita di Trump stenderebbe l’elettore medio. In Biden invece ci si può immedesimare. E’ imbarazzante con le donne. La moglie lo sposta di peso davanti ai giornalisti per non farlo ammalare di Covid-19. Il figlio ha avuto problemi di droga. Il suo amico Obama è molto più figo di lui. Balbetta. Teme la pandemia. Viene da Scranton, una piccola città della Pennsylvania che non è proprio il centro del paese. Si capisce perché persino il blocco elettorale dei bianchi senza laurea, il serbatoio elettorale di Trump, il più difficile da conquistare per i democratici, a questo giro stia cedendo molti voti a Biden. Mai come quest’anno la guerra tra i candidati non si fa sui programmi, ma sulle storie personali e sul carattere, e le defezioni lo confermano.
 
Ed ecco la quarta mossa di Joe Biden per battere Trump alle elezioni. Sta facendo qualcosa che in molti non ritenevano più possibile: sta portando dalla sua parte elettori che nel 2016 hanno votato per Trump. Per molto tempo abbiamo sentito dire che in un paese spaccato a metà come sono gli Stati Uniti durante l’Amministrazione Trump alle presidenziali avrebbe vinto soltanto chi fosse stato capace di mobilitare di più la sua base. Non c’erano speranze di convincere quelli sull’altra riva del fiume. E invece secondo un sondaggio Times / Siena di una settimana fa, Biden si è preso circa un quattro per cento di elettori bianchi in Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, Minnesota, Iowa e Ohio che quattro anni fa avevano votato per Trump. Sono elettori che valgono doppio, perché ogni voto così è anche un voto in meno per l’avversario. E in più in questi tempi di incertezza sono dichiarazioni di voto che, come nota l’esperto di sondaggi Nate Silver, suonano più robuste della media. E’ raro che uno ammetta di avere cambiato idea politica, se lo dichiara in un sondaggio allora vuol dire che è motivato. Ed è un fatto notevole perché la fissità dei numeri della politica americana in questi mesi era stata incredibile, le percentuali di voto a favore dell’uno e dell’altro candidato sono oscillate pochissimo mentre il paese attraversava eventi straordinari come la pandemia, la crisi economica e un’ondata di proteste e di violenze legate alla questione razziale.
 
Quinta mossa: Biden ha scelto Kamala Harris. Nera, donna, origini indiane, ex procuratore in California, a sinistra ma non del tutto a sinistra, la Harris è una scelta dal funzionamento così ovvio che c’è poco da commentare. Se non che il mondo di Biden va avanti così, si procede sul sicuro, non ci sono colpi di scena, l’amministrazione del paese è intesa come un check medico, deve essere prevedibile e farsi ricordare il meno possibile. Harris inserisce nella campagna un po’ di spigliatezza – necessaria: Biden ha 77 anni, Trump ne ha 74 – ha un nome che si fa ricordare (qualcuno ricorda il vice della Clinton? Era Tim Kaine), risponde colpo su colpo, gira con le Converse ai piedi. Etnia, sesso, età, coolness. Quattro-cinque caselle riempite in un colpo solo. Eliminata alle primarie e poi ripescata davanti ad altre donne molto competitive perché il 2020 è l’anno della morte di George Floyd e delle proteste afroamericane, in caso di vittoria la vice di Biden si troverà a disporre di un posto davanti a tutti per la corsa presidenziale 2024 considerato che, come si è detto, se lui diventasse presidente starebbe alla Casa Bianca soltanto quattro anni.

 

 

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Sesta mossa di Biden per battere Trump: ha messo a cuccia l’ala radicale dei democratici. In questi giorni Trump tenta di vendere l’ascesa di Biden alle primarie del partito come un patto con il diavolo. “Ha fatto un accordo corrotto in cambio della nomination – ha detto il presidente mercoledì a un comizio – ha ceduto il controllo ai socialisti e ai marxisti e agli estremisti di sinistra come la sua candidata vicepresidente”. Alla fine la scelta degli elettori sarà tra “un incubo socialista e il sogno americano”. Ma è roba che su Biden non si appiccica. Secondo gli studi dei sondaggisti, “socialista” è una delle ultime parole usate dai potenziali elettori di ogni colore politico per descrivere Biden. Ci sono molte ragioni che spiegano questo fatto. Una, ancora una volta, è la sua storia personale. Non puoi stare per mezzo secolo dentro il settore moderato del partito e poi di colpo essere dipinto come un pericoloso rivoluzionario. “Non c’è una singola sillaba che io abbia mai pronunciato che possa portarvi a credere che io sia socialista o comunista”, ha detto Biden di recente durante una tappa in Florida, tanto per mettere in chiaro le cose con l’elettorato cubano che detesta il castrismo. Biden è il volto dell’establishment eterno e centrista di Washington, gli attacchi di Trump suonano come un’altra delle tante boutade scadenti da comizio, roba che che non pretende di essere considerata vera. E intanto l’ala radicale del partito, che ha compreso che se vince Trump sarà una batosta per tutti e per molti anni, collabora e non si fa vedere. Nessuno dalle parti di Alexandria Ocasio-Cortez o di Bernie Sanders, i due nomi più conosciuti dell’ala della sinistra-sinistra, chiede a Biden impegni o pronunciamenti prima del voto. Tacciono e seguono la corsa. Anzi, in qualche modo hanno aiutato molto il candidato perché hanno passato il periodo delle primarie ad accusarlo di essere un rudere della vecchia politica – e quindi a rafforzare la sua immagine rassicurante di anti socialista. Gli hanno creato le credenziali giuste. A settembre, quando durante un incontro gli hanno chiesto conto delle accuse di criptosocialismo, Biden ha risposto: “Il socialista io l’ho battuto. E’ così che ho vinto la nomination. Vi sembro un socialista? Guardate la mia carriera – tutta la mia carriera. Non sono un socialista”.

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