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Coronavirus Rebellion

Ma non dovevamo imparare a convivere con il virus?

Non siamo “l’agnello sacrificale” del governo di Londra, ha detto il sindaco di Manchester. I commentatori la chiamano la “guerra civile Covid”

Paola Peduzzi

Quando all’inizio dell’estate si discuteva di quanto dovessero durare i lockdown, di quali fossero le politiche migliori per riaprire in sicurezza e poi essere flessibili a sufficienza per eventuali e parziali richiusure, di questo si parlava: della convivenza. Una guerra civile attorno al Covid non è sostenibile oggi in nessun paese, visto che non ci sono né capitale politico né capitale economico a disposizione di nessuno: tutti perdono. L’alternativa ai lockdown locali non è nessun lockdown: è il lockdown nazionale

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Non siamo “l’agnello sacrificale” del governo di Londra, ha detto il sindaco laburista di Manchester, Andy Burnham, “combatteremo” contro le misure di restrizione  anti Covid imposte in alcune zone da Boris Johnson. I commentatori la chiamano la “guerra civile Covid” ed è esattamente il contrario della strategia considerata indispensabile per gestire la pandemia: convivere con il virus.

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Non siamo “l’agnello sacrificale” del governo di Londra, ha detto il sindaco laburista di Manchester, Andy Burnham, “combatteremo” contro le misure di restrizione  anti Covid imposte in alcune zone da Boris Johnson. I commentatori la chiamano la “guerra civile Covid” ed è esattamente il contrario della strategia considerata indispensabile per gestire la pandemia: convivere con il virus.

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Il premier inglese ha introdotto un piano a più fasi per gestire i picchi del contagio a livello locale. Le zone interessate sono quelle del centro del paese, dove i dati sono più allarmanti e dove da giorni si è scatenata una rivolta. A guidarla è Burnham, un politico ambizioso che sogna da sempre un ruolo nazionale: il sindaco dell’area metropolitana di Manchester dice che la sua città e le altre regioni interessate dalle misure di restrizioni non devono essere delle cavie, esperimenti viventi per vedere se si riesce a contenere la seconda ondata. Burnham cita gli stessi virologi che consigliano Johnson e che sono molto preoccupati del fatto che questi minilockdown locali non siano sufficienti: il sindaco dice che c’è bisogno di un lockdown nazionale – non si parla più di lockdown ma di “circuit breaker”, di tregue, pause, chiusure temporanee – e che il governo non dovrebbe fare politiche locali punitive, quanto piuttosto pensare a un piano di sussidi e di sostegno all’economia per le aree più colpite dalla seconda ondata.

 

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Il governo di Londra ora deve decidere se insistere e imporre, rivolta o no, il suo piano, oppure se pensare a un’altra strategia a livello nazionale come consigliano i virologi e come sostiene anche il leader del Labour, Keir Starmer. Johnson ha chiesto a Burnham di riconsiderare la sua posizione, lo ha invitato a “lavorare insieme” e ha detto che altrimenti sarà costretto a “intervenire”. Le zone interessate dal picco e quindi dal piano di lockdown localizzato sono quelle politicamente più sensibili: è la cintura centrale del Regno Unito, storicamente definita “red wall” perché eleggeva prevalentemente parlamentari di sinistra ma che alle ultime elezioni è diventato blu-conservatore. E’ il cuore della vittoria di Johnson, il terreno che si è rivelato fertile alla proposta conservatrice brexitara e liberale. Se a meno di un anno da quando questo elettorato si è concesso ai conservatori c’è già aria di tradimento, il governo rischia di pagare un prezzo molto alto per le sue imposizioni. Allo stesso tempo però, se Johnson asseconda questa rivolta e quindi lascia che s’insinui l’idea che i lockdown sono discriminatori – è questo che dicono Burnham e gli altri: perché noi sì e il resto del paese no? – crolla la strategia della gestione a livello locale della pandemia e la chiusura a livello nazionale diventa inevitabile.

 

Il governo di Boris Johnson ha fatto parecchi errori nei mesi di crisi, il consenso iniziale si è disintegrato e oggi l’esasperazione è ai massimi.  L’assenza di chiarezza, il passaggio dalla chimera dell’immunità di gregge alla preoccupazione terrorizzata di adesso alimentano incertezza e sfiducia, danni collaterali pesanti della pandemia. Ma l’insofferenza e lo scontro sono ovunque, persino nella placida Germania dove i tribunali accolgono i ricorsi dei ristoratori contro i lockdown parziali, come già era accaduto qualche giorno fa in Spagna (che è ben meno placida, in ogni caso). La mancanza di unità, l’aria da guerra civile, la percezione delle chiusure localizzate come una punizione o un sacrificio impediscono di costruire una convivenza con il virus.

 

Quando all’inizio dell’estate si discuteva di quanto dovessero durare i lockdown, di quali fossero le politiche migliori per riaprire in sicurezza e poi essere flessibili a sufficienza per eventuali e parziali richiusure, di questo si parlava: della convivenza. La teoria del “martello e della danza” era un manuale di istruzione per il ballo che ci attendeva, e ci attende, dentro e fuori dai picchi del contagio. Se la seconda ondata doveva essere un test sulla nostra capacità di convivere con il virus, il test è fallito. Una guerra civile attorno al Covid non è sostenibile oggi in nessun paese, visto che non ci sono né capitale politico né capitale economico a disposizione di nessuno: tutti perdono. L’alternativa ai lockdown locali non è nessun lockdown: è il lockdown nazionale. E considerando i tempi dei vaccini, la buona convivenza diventa ancora più indispensabile: dopo la seconda ondata, c’è la terza.
 

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