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Editoriali

Sui pescatori sequestrati in Libia lasciate stare Minniti

Redazione

Se i marittimi di Mazara del Vallo restano prigionieri a Bengasi è perché contiamo sempre meno

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C’è qualcosa di stonato nella manifestazione organizzata oggi a Catania dall’Usb (Unione sindacale di base) per chiedere la liberazione dei pescatori italiani sequestrati in Libia. Non è certo lo scopo del presidio a fare dubitare. L’attenzione mediatica sul caso dei 18 marittimi di Mazara del Vallo (otto italiani, sei tunisini, due senegalesi e due indonesiani), bloccati da oltre 40 giorni nel porto di Bengasi, roccaforte del generale della Cirenaica Khalifa Haftar, finora è stata modesta. Per questo, sensibilizzare le istituzioni con manifestazioni come quelle di Catania è urgente e necessario.

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C’è qualcosa di stonato nella manifestazione organizzata oggi a Catania dall’Usb (Unione sindacale di base) per chiedere la liberazione dei pescatori italiani sequestrati in Libia. Non è certo lo scopo del presidio a fare dubitare. L’attenzione mediatica sul caso dei 18 marittimi di Mazara del Vallo (otto italiani, sei tunisini, due senegalesi e due indonesiani), bloccati da oltre 40 giorni nel porto di Bengasi, roccaforte del generale della Cirenaica Khalifa Haftar, finora è stata modesta. Per questo, sensibilizzare le istituzioni con manifestazioni come quelle di Catania è urgente e necessario.

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Però il comunicato dell’Usb tira in ballo un vecchio fraintendimento, quello che vuole l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti come la causa di tutti i nostri mali in Libia. “I 18 pescatori sono doppiamente in ostaggio: ostaggi dell’Lna (le forze militari di Haftar, ndr) e ostaggi dei trattati italo-libici – scrive il sindacato – Il sequestro e la liberazione dei 18 lavoratori è legata a questi trattati firmati dal Pd attraverso Minniti”.

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Ci sono almeno un paio di equivoci di fondo in questa affermazione. Il primo è che Minniti non ha mai stretto accordi in Cirenaica, semmai l’ha fatto in Tripolitania, con le tribù che sostenevano il governo di Serraj, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale. Il secondo è che il piano dell’ex ministro non prevedeva la creazione di campi in cui i carcerieri libici potessero torturare sistematicamente i migranti. Spesso parlando di Libia ci si dimentica che il progetto di Minniti in realtà era molto più complesso e prevedeva più fasi, con tanto di coinvolgimento dell’Onu. E’ in momenti come questo che sarebbe opportuno non cedere alle semplificazioni. Se oggi i pescatori sono prigionieri di Haftar è colpa della debolezza con cui l’Italia ha gestito il dossier libico negli ultimi due anni. Se oggi la nostra diplomazia si dimostra ricattabile dalle tribù libiche è perché si è messa nella condizione di non essere più ascoltata. Si aspetta una svolta nelle trattative nei prossimi giorni, pare con la mediazione degli Emirati Arabi Uniti. Un campanello d’allarme in più: in Libia siamo sempre più irrilevanti a beneficio di altri attori che hanno approfittato del vuoto che abbiamo lasciato.

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